Il tintinnante suono del cielo del West: Crosby, Stills, Nash & Young: Live at Fillmore East, 1969.
Ci sono delle registrazioni che giacciono dimenticate negli archivi per così tanto tempo che, quando finalmente le ritrovano e le pubblicano, i dischi che le contengono possono essere recensiti anche a distanza di tempo. È il caso di questo Live at Fillmore East, 1969 che, dopo il Live at Berkeley 1971 di Stephen Stills pubblicato due anni fa, è il secondo album d’archivio in cui compare David Crosby (1941-2023). La sua morte ha messo fine per sempre al sodalizio che, fino al 2015, ha visto variamente insieme lui, Stills, Graham Nash e Neil Young.
Pubblicato nell’autunno scorso, il concerto risale al 20 settembre 1969. Siamo agli albori di quella magica miscela di folk, rock, blues e qualche rimando al jazz che Jimi Hendrix (1942-1970) definirà: “Quel tintinnante suono del cielo del West”.
La spontaneità di quando tutto comincia
«Ricordo i primi spettacoli al Fillmore East con grande affetto. Riascoltandoli nuovamente dopo tutti questi anni, posso dire quanto ci amavamo e quanto amavamo la musica che stavamo creando. Eravamo davvero fiduciosi di quello che stavamo facendo, e lo si può sentire in questa registrazione». Lo ha detto Nash che, nella circostanza, suonò all’organo l’inedita Our House alla fidanzata Joni Mitchell che era tra il pubblico.
Il metro di paragone non può non essere il doppio album 4 Way Street del 1971: oltre un’ora e mezza di musica dalla seconda tournée dell’anno prima. Assemblato grazie alla pazienza dello stesso Nash, numero uno nella classifica di Billboard, quel disco fu uno dei meglio riusciti dal vivo della storia, oltre a rappresentare una generazione che difese con coraggio, attraverso le esperienze comunitarie e contestando la guerra del Vietnam, quel senso di libertà su cui era stata fondata l’America. C’è il massimo dell’arte di CSNY sia in versione acustica (l’incanto fragile di The Lee Shore, l’incitamento di Don’t Let Them Bring You Down, la poesia chitarristica di Find the Cost of Freedom) che elettrica (i tredici minuti fiammeggianti di Southern Man).
Live at Fillmore East, 1969, per quanto sia eccellente, non può reggere il confronto. C’è però la spontaneità scanzonata, cioè sinceramente divertita, d’una avventura che sta cominciando insieme al desiderio cristallino di cantare l’amore e la gioventù: non li trovate in 4 Way Street. Ascoltate com’è ispirato Stills e come tutti vadano alla ricerca dell’armonia delle voci, senza la rabbia rauca che c’è nelle jam elettriche d’un anno dopo: è quell’invincibile bellezza che per anni farà desiderare a tanti di vederli riuniti su un palco. Fino agli ultimi senili bagliori.
In 4 Way Street, CSNY saranno ancora più grandi: ma da “professional hippies”, per menzionare ancora Hendrix con un’osservazione a proposito di se stesso.
L’inizio e la fine dello spirito di Woodstock
Il 29 maggio 1969 Crosby, Stills & Nash pubblicano il loro omonimo, leggendario album d’esordio. Due mesi dopo Neil Young entra nel gruppo che si avvale, come sezione ritmica esterna, di Greg Reeves, appena quindicenne, al basso più Dallas Taylor (1948-2015) alla batteria. Fu Ahmet Ertegün (1923-2006), il geniale boss turco della Atlantic Records fondamentale anche per il successo dei Led Zeppelin, a convincere i riluttanti Stills e Nash ad accogliere il canadese come componente effettivo. L’esordio dal vivo furono i due concerti a Chicago del 16 agosto. Due giorni dopo CSNY suonarono a Woodstock. Young rifiutò di farsi riprendere.
Il gruppo arriva sul palco del Fillmore East avendo fatto quattordici concerti insieme. Dopo Woodstock c’erano state sette date al Greek Theatre di Los Angeles, con parecchi nastri riversati negli anni in diversi bootleg, tra il 25 e il 31 agosto. Il 5 e il 6 settembre CSNY avevano suonato negli studi della rete televisiva ABC per due programmi, il secondo con il cantante Tom Jones. Il 13 e il 14 settembre, infine, i quattro sono in concerto nella località balneare californiana di Big Sur con Joni Mitchell: qualche momento si trova nel film Celebration at Big Sur del 1971. Dopo il Fillmore East, fino al 21 dicembre, ci saranno altri diciotto concerti seguiti il 6, il 9 e l’11 gennaio ‘70 da tre date europee a Londra, Stoccolma e Copenaghen.
Il 6 dicembre 1969 CSNY vedono svanire sulla multipista di Altamont quel flower power di cui Woodstock era stato l’apogeo. L’organizzazione inadeguata dell’Altamont Free Concert voluto dai Rolling Stones, il palco troppo basso lambito continuamente dal pubblico ammassato, i disordini in parte causati dalle violenze del servizio di sicurezza affidato ai famigerati motociclisti Hell’s Angels in cambio di cinquecento dollari in alcolici, la morte di quattro spettatori, sono la sintesi d’un disastro. I quattro, sul palco prima degli Stones, riescono a suonare solo cinque canzoni. Mick Jagger e soci devono interrompersi e poi riprendere, terminare in fretta e svignarsela in elicottero quando gli Hell’s Angels accoltellano a morte uno spettatore che, pare, abbia una pistola.
L’11 marzo 1970 CSNY pubblica Déjà Vu, uno degli album iconici di quel tempo. Tra il 12 maggio e il 9 luglio, ventitré date costituiscono il loro secondo tour negli Stati Uniti. C’è una nuova sezione ritmica: Calvin Samuels al basso e Johnny Barbata (1945-2024) alla batteria.
Il gruppo implode il 6 luglio all’Auditorium Theatre di Chicago, dove tutto era cominciato undici mesi prima. Crosby, Nash e Young se ne vanno lasciando solo Stills: un mese prima, durante una delle sei date tra il 2 e il 7 giugno del loro ritorno al Fillmore East, il texano li aveva fatti arrabbiare dilungandosi in un’esibizione solista, non concordata, dopo aver saputo che tra il pubblico c’era Bob Dylan. Le sue smanie di protagonismo amplificate dall’abuso di alcol e cocaina, nonché la competizione con Nash, lasciato dalla Mitchell, per Rita Coolidge (Crosby la racconterà allegoricamente nella cavalcata acid rock Cowboy Movie: Kris Kristofferson, 1936-2024, surclasserà tutti sposando la Coolidge), furono le cause del primo di tanti scazzi epici.
Un concerto tipico del 1969
Situato a New York in un edificio degli anni Venti nell’East Village di Manhattan, il Fillmore East apre l’8 marzo 1968 e chiude il 27 giugno 1971. In quegli anni fu sede di prestigiosi concerti, spesso immortalati in dischi celebri, che gli sarebbero valsi la definizione di “The Church of Rock and Roll”. Lo fondò l’impresario Bill Graham (1931-1991) come realtà gemella del Fillmore West, locale di San Francisco attivo in quegli stessi anni e con una storia analoga.
Oggi che la marea del tempo, ritirandosi, ha lasciato una miriade di detriti sulla spiaggia, qualcuno splendente come le conchiglie delle canzoni di Crosby, la ricerca del significato restituisce le cose migliori. Live at Fillmore East, 1969 rappresenta la riscoperta d’un tesoro. Stills e Young hanno curato la selezione delle canzoni, la masterizzazione, il missaggio dei nastri multitraccia a otto piste contenenti la registrazione. Il disco propone una tipica set list di quel tour, sebbene spesso variata, suddivisa tra un set acustico e uno elettrico.
Sette canzoni sono del primo, omonimo album di Crosby, Stills & Nash. Si tratta di Suite: Judy Blue Eyes, Helplessy Hoping, Guinnevere, Lady Of the Island, You Don’t Have to Cry, Long Time Gone, Wooden Ships. Una, Blackbird, è Stills che reinterpreta una canzone del White Album dei Beatles. Quattro sono sue: Go Back Home che finirà nel primo album solista, Bluebird Revisited destinata al secondo, Find the Cost of Freedom che l’anno dopo sarà in un 45 giri con Ohio di Neil Young e soprattutto l’allora inedita, bellissima 4+20 che sarà inclusa in Déjà Vu. Una è la menzionata Our House di Nash, anch’essa poi su Déjà Vu. Le altre quattro, per un totale di diciassette, sono canzoni di Young: la magnifica On the Way Home, già dei Buffalo Springfield e impreziosita dal controcanto entusiasta di Stills, le non eccelse I’ve Loved Her So Long dal primo album solista e Sea of Madness cantata a Woodstock, la notevole jam di Down By the River, sul secondo album solista, che anticipa le scorribande elettriche di 4 Way Street.
L’eccezionalità di un’epoca
Dopo la rottura del 1970, CSNY torneranno insieme, avendo soddisfatto ciascuno le proprie ambizioni soliste (il capolavoro resta If I Could Only Remember My Name di David Crosby, ‘71, forse il migliore tra i loro dischi da soli o in compagnia), solo nel ‘74. Fu il celebre Doom Tour negli stadi americani più due date in Canada e l’unica conclusiva esibizione europea a Wembley con Joni Mitchell e la Band. Solo nel 2014 un triplo album con quaranta canzoni, CSNY 1974, lo avrebbe documentato. Momenti di grande musica si alternarono a paurose cadute. C’erano Tim Drummond al basso, Russ Kunkel alla batteria, Joe Lala alle percussioni.
Il progetto d’un secondo album dopo Déjà Vu, provvisoriamente intitolato Human Highway e che, secondo le aspettative, avrebbe dovuto essere formidabile, fallì per i soliti litigi. Altrettanto avvenne due anni dopo e la montagna partorì il topolino di Long May You Run, l’unico disco attribuito a una sedicente Stills-Young Band (il tour finì a schifio: Young sparì improvvisamente lasciando a Stills un biglietto sarcastico). Fu solo nel 1988, quando non se l’aspettava nessuno, che arrivò il secondo album, il mediocre American Dream, e nel 1999 il terzo, il dignitoso Looking Forward. CSNY andarono infine in tour dopo che Crosby, disintossicato dall’eroina e sottoposto al trapianto del fegato nel ’94, diede ampie garanzie di saper reggere il palcoscenico. Avvenne nel 2000, due anni dopo e ancora nel ‘06 con il tour Freedom of Speech contro le guerre di George Bush.
Per quanto ben più affidabili che in gioventù e con momenti di grande arte nonché di commovente impegno, fu chiaro che la loro fama trovava corrispondenza nell’essere stati, in quel breve periodo tra gli anni Sessanta e i Settanta, una delle voci più geniali e autorevoli della loro generazione. Per questo riscoperte come Live at Fillmore, 1969 servono non soltanto a rievocare e a raccontare dei momenti eccezionali d’una bella storia rock, ma a riaggiustare quel passato per proiettarne i semi di conoscenza nel futuro.
In qualche modo vale sempre quello che Stephen Stills disse a No Nukes, la storica cinque giorni a New York contro il nucleare che vide dal 19 al 23 settembre 1979 diversi grandi musicisti americani suonare al Madison Square Garden: “Dobbiamo costruire un’industria fondata sulla forza benefica del sole. Per fare questo, partiamo da una chitarra”.
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