David Crosby If I could only remember my name

If I Could Only Remember My Name: un incontro con David Crosby

«It’s the most enchanting album I’ve ever listened to» dissi a David Crosby porgendogli la copertina di If I Could Only Remember My Name, 1971. «It’s for me too, thank you» mi rispose con voce gentile, gli occhi vividi, umile e orgoglioso, visibilmente commosso. Poi mi autografò la busta interna del suo primo, grande album solista: il disco di un’altra vita.

Era il 19 luglio 1998, a Roma, subito dopo il concerto al Testaccio Village con Jeff Pevar, chitarrista stratosferico, e James Raymond, il figlio ritrovato. Tastierista, cantante, autore, arrangiatore, produttore, James fu dato in adozione dopo la nascita quando Crosby era poco più d’un ragazzo. Padre e figlio s’erano ritrovati quattro anni prima in una stanza d’ospedale a Los Angeles: il secondo era andato a trovare il primo mentre era convalescente per un trapianto di fegato. Il padre aveva subito capito che il figlio «è un musicista molto più bravo di me». James si rivelerà, nel tempo, l’elemento imprescindibile per la rinascita artistica d’un «uomo morto», come Paul Kantner aveva definito con tristezza l’amico ai tempi della più cieca tossicodipendenza, prima che, il 12 dicembre 1985, si costituisse al Fbi iniziando il faticoso e doloroso percorso di riabilitazione che dalla cella d’isolamento, passando per il penitenziario texano di Huntsville e dalla completa bancarotta, lo riporterà a fare grande musica.

Crosby, Pevar & Raymond

Me ne andai con la copertina sotto braccio (il vinile era rimasto prudentemente a casa) a piedi nella notte fino alla stazione Termini per riprendere il treno per la Puglia. Quando ascoltai per la prima volta il cd omonimo dei Cpr (Crosby, Pevar & Raymond) acquistato direttamente dalle mani del suo autore principale e autografato da tutti e tre, la voce trionfante si librò da uno dei dischi più belli e misconosciuti degli anni Novanta. Chiesi a mia madre: «Secondo te quanti anni ha quello che canta?». «L’età tua, immagino». «No: la tua».

Crosby, Pevar (a sinistra) & Raymond
Crosby, Pevar (a sinistra) & Raymond

Crosby, a causa della vita sregolata, è invecchiato presto nel corpo. Ma è restato per sempre giovane nello spirito e nella voce che solo ultimamente aveva iniziato a cedere all’età e ai malanni. Quando l’ho rivisto a Roma, il 13 settembre 2018 all’auditorium Santa Cecilia in quello che resterà il suo ultimo concerto in Italia, era ben lontano dal dichiarare, come ha fatto otto mesi fa, d’essere troppo vecchio per andare in tour. Salvo fare annunciare da Raymond, il 13 gennaio scorso, la prevendita d’un concerto per il 22 febbraio, cinquantaduesimo anniversario della pubblicazione di If I Could Only Remember My Name, con ospite speciale Bruce Cockburn.

Un disco che contiene un’epoca

Se fino a qualche giorno fa Crosby non fosse stato secondo per importanza solo all’irraggiungibile Bob Dylan tra i grandi sopravvissuti del rock americano, basterebbe questo disco a consegnarlo alla storia della musica. Esso rappresenta, più di qualunque altro, la coscienza artistica dell’idealismo, dello spirito comunitario, della bellezza e della sensibilità panteistica della cultura hippie. Realizzato in uno stato di prostrazione e di fuga dalla realtà «for my lady Christine Gail Hinton», morta in un incidente d’auto, l’album beneficia della collaborazione spontanea dei più importanti nomi del sound di San Francisco: quasi tutti i Jefferson Airplane e i Grateful Dead, Neil Young e Graham Nash (Stephen Stills era a Londra a registrare il suo primo album solista), Joni Mitchell, Michael Shrieve e Gregg Rolie dei Santana. Più o meno gli stessi, indicati dal produttore Stephen Barncard con l’acronimo Perro che valeva come Planet Earth Rock’n’Roll Orchestra, erano impegnati a registrare l’eccellente album di Paul Kantner Blows Against The Empire, dove assunsero anzitempo la denominazione Jefferson Starship, e il primo omonimo di Jerry Garcia.

Il ritorno del «più bravo cantante armonico del mondo»

Neanche il primo omonimo di Crosby, Stills & Nash e il disco successivo con Young, Dejà Vu, o Happy Trails dei Quicksilver Messenger Service, Volunteers dei Jefferson Airplane e Live Dead dei Grateful Dead, né alcun disco dei Byrds, sono paragonabili per intensità e splendore a If I Could Only Remember My Name. Lo comprai da ragazzo senza averlo mai ascoltato perché suggestionato dalla descrizione immaginifica che Riccardo Bertoncelli ne aveva fatto nel libro Un sogno americano che mi era stato prestato (risaliva alla generazione precedente la mia). Quel disco, per anni riservato agli appassionati, con l’inaspettato ritorno senile di Crosby (cinque album dal 2014, tutti notevoli, più uno dal vivo) ha assunto un valore leggendario. Intanto «il più bravo cantante armonico del mondo», come ha riconosciuto Roger McGuinn, che con lui e il compianto Gene Clark aveva fondato i Byrds, lasciati alle spalle i dolori della giovinezza e riacquisito un sereno equilibrio familiare, rivelava qualche anno fa al Wall Street Journal il senso del suo ritorno al fare musica: «Sono un tizio parecchio felice. Forse è questo il nocciolo della faccenda».

Il segreto della giovinezza artistica: la continua ricerca dei perché

L’abilità di collaborare e farsi apprezzare dai più giovani è stata decisiva. Non soltanto il lavoro con Raymond che gli è figlio e Pevar che avrebbe potuto esserlo, ma con i musicisti Michael League, Michelle Willis e Becca Stevens che sono stati essenziali negli ultimi sette anni e che, anagraficamente, avrebbero potuto essergli nipoti. Come il gabbiano d’una delle sue più belle canzoni, che non aveva un posto dove andare perché non ne aveva bisogno, e come un altro gabbiano protagonista d’una straordinaria novella dei suoi anni migliori, Jonathan Livingston, capace d’essere sempre avanti, l’ultimo, sorprendente David Crosby ha potuto distillare sapienza ancestrale con serena e definitiva autocritica (si guardi il film documentario sulla sua vita Remember My Name) ricevendo in cambio l’energia e l’entusiasmo necessari a fare musica fino all’ultimo.

Una canzone recente, 1974, esprime quel senso di continua ricerca nell’universo sensibile che dall’abbagliante giovinezza arriva al presente. Ricavata da un nastro, risalente all’anno del titolo, ritrovato da Crosby con della musica e dei vocalizzi, è stata completata insieme a League, alla Willis e alla Stevens. Un passaggio del testo dice: «Il nostro amore continuerà a battere (dopo che ce ne saremo andati?). /Viaggiare oltre (che cosa diventiamo?). /C’è una ragione per cui l’amore e la canzone continuano all’infinito?».

print

Pietro Andrea Annicelli è nato il giorno in cui Paul McCartney, a San Francisco, fece ascoltare Sergeant Pepper’s ai Jefferson Airplane. S’interessa di storia del pop e del rock, ascolta buona musica, gli piacciono le cose curiose.

Lascia un commento!

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.