David Byrne torna da solista, dopo anni spesi (bene) fra vari progetti.
Gli anni che separano la sua ultima opera da solista (Grown Backwards, 2004) da questo American Utopia hanno visto David Byrne impegnato in numerosissimi progetti musicali, letterari ed educativi. Fra questi ricordiamo la collaborazione con St. Vincent (Love This Giant, 2012); il musical ispirato alla vita di Imelda Marcos scritto a quattro mani con Fat Boy Slim (Here Lies Love, 2015); un trattato sulla musica (How Music Works, 2012); e un recente ciclo di lezioni intitolate “Reasons To Be Cheerful” (2018).
American Utopia: un titolo programmatico
Il titolo provocatorio ben riflette le preoccupazioni di questi dieci brani: è ancora possibile immaginarsi una società (occidentale) diversa e vivibile? Sebbene musicalmente American Utopia non riservi grandissime sorprese, sorprende invece per l’approccio sperimentale dei testi. In particolare, pensiamo a Bullet, raccontata dal punto di vista di un proiettile che viaggia nel corpo della vittima di un’arma da fuoco. Ma anche Here, in cui Byrne, vestendo i panni di neuroscenziato, elenca le funzioni delle varie zone del cervello, invitandoci ad esercitare quella che ci abilita al dialogo con chi non la pensa come noi.
I collaboratori e le canzoni di American Utopia
Grazie alla collaborazione del fedele Brian Eno, e a quelle delle più recenti reclute Daniel “Oneohtrix Point Never” Lopatin e Rodaidh McDonald (The XX) questo American Utopia a tratti coinvolge pienamente: certamente nel singolo Everybody’s Coming To My House. Oppure nella già citata The Bullet. O ancora in Gasoline and Dirty Sheets. Tuttavia, sono forse troppi, duole dirlo, i momenti esageratamente meditativi.
Detto questo, giudizio ampiamente positivo e attesa del ritorno dal vivo di David Byrne, che già sorprende con le apparizioni negli show televisivi.
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