Depeche Mode – Memento Mori

Ciò che resta dei Depeche Mode e il loro Memento Mori.

“And then there were two”: così scriveva Alan Wilder (ex Depeche Mode) a Dave Gahan pochi giorni dopo la scomparsa di Andrew “Fletch” Fletcher il 26 maggio scorso. I Depeche Mode avrebbero potuto continuare con qualche concerto autocelebrativo, magari una recidency a Las Vegas, e relativo album “The Farewell Tour”. Avrebbero potuto gestire il loro patrimonio concedendosi sporadiche apparizioni in TV in occasione di una qualunque ristampa di Violator o Songs Of Faith And Devotion. Invece Dave Gahan e Martin Gore decidono di proseguire nella galassia da loro creata nel corso di 40 anni di carriera per dimostrare che i Depeche Mode esistono ancora e, anzi, hanno ancora molto da fare. Diciamolo subito: Memento Mori (Columbia Records) è un gran disco. Gli inventori della dance elettronica non cedono a nessuna deriva trash tipica di alcuni compagni di strada giunti a “una certa” (U2 e Coldplay “scansateve”). Per il quindicesimo album in studio Martin Gore sceglie un co-autore d’eccezione: Richard Butler degli Psychedelic Furs, presente in quattro tracce del nuovo lavoro, tra le quali il primo singolo Ghost Again. Altro scoop: un brano firmato Gahan-Gore, Wagging Tongue dedicato a Mark Lanegan, uno dei momenti migliori e più immediati di Memento Mori. “Watch another angel die” recita il ritornello che rimanda al titolo del disco e suona, più che un monito, come un invito a vivere il momento e a confidare poco nell’incerto futuro.

“Il miglior disco dell’ultimo periodo”

Così si dice spesso di fronte a un nuovo lavoro di una grande band. E così si sta dicendo a proposito di Memento Mori, anche se in realtà i Depeche Mode non hanno mai smesso di entusiasmare pubblico e critica, spesso di parte, riuscendo a trasformare in successi planetari anche onesti dischi di passaggio che non hanno lasciato le tracce dei capolavori indiscussi. I Depeche Mode sono un brand sicuro, uno “state of mind”, un modo di abbracciare un genere musicale e farne il compagno di una vita; i fan club attivissimi in tutto il mondo ne sono la prova. Le capacità dei nostri sono fuori discussione così come l’abilità nel trovare i produttori migliori per il progetto in opera. E a questo proposito, per i nuovi Depeche Mode in formato “duo” oltre al già citato Richard Butler, troviamo James Ford, il re Mida inglese noto per aver contribuito alle fortune di nomi quali Arctic Monkeys, Kylie Minogue, Pet Shop Boys e Gorillaz. Altra novità alla produzione l’italianissima Marta Salogni, già nota come producer e ingegnere del suono, qui anche in veste di autrice di Speak To Me, la ballad conclusiva straziante e ispirata in cui la sempreverde voce di Gahan raggiunge una vetta emotiva da memoria.

Le nuove canzoni: la precarietà dell’esistenza non ha solo tinte cupe

E quando si parla, si scrive o si legge dei Depeche Mode ci sono alcuni termini che scattano in automatico. La cupezza, le tinte dark, varie tipologie di tristezza messe in musica e recensite dalle penne più autorevoli sembrano costituire una cifra stilistica e descrittiva da cui è difficile affrancarsi.

Vero è che gli argomenti trattati nei testi sono spesso ispirati da tematiche dolenti, ma sull’umana sofferenza i Depeche Mode hanno fatto danzare intere generazioni. Succede anche adesso. Con Memento Mori si balla! Oltre ai brani già citati e a Soul With Me, l’unico pezzo cantato da un Martin Gore in stato di grazia, sarà difficile stare fermi a contemplare il dolore cosmico sulle note di My Favourite Stranger, Caroline’s Monkey e Never Let Me Go. Sì, con i Depeche Mode si continua a ballare, e a quanto pare, fino a data da destinarsi!

Depeche Mode – Memento Mori
8,2 Voto Redattore
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Ha suonato con band punk italiane ma il suo cuore batte per il pop, l’elettronica, la dance. Idolo dichiarato: David Byrne. Fra le nuove leve vince St. Vincent.

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