Oggi i Duran Duran parlano di se stessi: ed è subito pop!

Future Past, il quindicesimo album dei Duran Duran (pubblicato da Tape Modern – BMG), è senza dubbio il più autoreferenziale della loro carriera. Con un’operazione che – fin dal titolo – guarda al futuro tenendo ben ferme le gloriose radici, la band di Birmingham rinnova una formula che comunque sia non perde smalto. Simon Le Bon e compagni resistono più che decorosamente e, a quarant’anni esatti dal debutto, dimostrano di saper maneggiare con cura un passato ingombrante, senza rimanerne imprigionati. L’approccio è simile a quello utilizzato per l’ottimo Paper Gods, uscito nel 2015 e che ha riscosso un meritato successo. Anche la stampa che li aveva ormai collocati in una nicchia di ex celebrità anche un po’ buffe ha dovuto ricredersi: i Duran Duran hanno sì attraversato un periodo cupo, tra gli anni ’90 e i primi del nuovo millennio, ma sono stati in  grado di risalire la china con grande professionalità e rioccupare un posto di tutto rispetto nell’ambito di appartenenza. Diciamolo pure: il pop come lo sanno fare loro al momento ha pochi eredi.

Future Past: tra guest star e produzioni illustri il successo è garantito

I Duran Duran del 2021 mettono mano a un’agenda di produttori e ospiti in grado di costruire un ennesimo manifesto di “pop culture” dai modi vivaci e attuale. Graham Coxon, l’ex chitarrista dei Blur, ha composto quasi tutti i brani col resto del gruppo dando un’impronta complessiva più brit che mai. Per la prima volta, a fianco degli ex Wild Boys, troviamo addirittura un Giorgio Moroder in ottima forma, convocato – inutile a dirsi – per i due brani più dance: Beautiful Lies e Tonight United artatamente posizionati al centro del disco. Mark Ronson non poteva mancare e per l’occasione sfodera il suo lato raffinato in un pezzo che convince al primo ascolto: Wing, quasi cinematografico e magistralmente interpretato dalla voce leboniana che sembra non sentire il passare del tempo.  Non manca l’apertura alle giovani generazioni: le Chai danno il meglio in uno dei momenti migliori del lavoro, More Joy, dove il pink-punk-pop scanzonato della band giapponese ben si coniuga con la classica cifra stilistica duraniana.

La danzabile Anniversary, il titolo si commenta da sé, è forse il momento più nostalgico insieme alla title track, una ballata dal sapore vintage giusto per rispolverare i tempi che furono. Una piacevole sorpresa giunge in chiusura: Mike Garson, lo storico pianista di David Bowie, arriva in coda per regalare uno dei momenti più intensi del disco, Falling, indiscutibile esempio di come il “pop” sia adatto anche ai palati più esigenti. Stessa sensazione si prova  di fronte a una, chissà perché, bonus track particolarmente ben riuscita e quasi fuori contesto: Laughing Boy. Anche qui il fantasma di Bowie si fa sentire nel giro di synth praticamente identico a quello di Ashes To Ashes.

Alla fine cosa pensare di Future Past?

Difficile dare un voto a un disco dei Duran Duran. Troppi pregiudizi e facili sentenze possono minare una valutazione onesta. Però forse Simon Le Bon ha ragione quando dice: “fin dai primi momenti siamo stati molto popolari tra le teenager e questo ha fatto si che gran parte della comunità musicale ci guardasse dall’alto in basso perché l’opinione delle teenager era di scarsissimo valore. Quello che possiamo dire oggi è che probabilmente, invece, era l’opinione più importante di tutte”.

Recensione: Duran Duran – Future Past
7,5 Voto Redattore
6.7 Voto Utenti (3 voti)
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Ha suonato con band punk italiane ma il suo cuore batte per il pop, l’elettronica, la dance. Idolo dichiarato: David Byrne. Fra le nuove leve vince St. Vincent.

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