Hold Sacred: Esben And The Witch rendono più nitida la loro oscurità. Sembrerebbe una buona idea…
Circa a metà dell’ascolto di Hold Sacred – per la precisione all’altezza di True Mirror e A Kaleidoscope – arrivano i cattivissimi pensieri: “Questo è un disco d’atmosfera tutto uguale a se stesso come quelli che anni fa incidevano Steven Shlacks, Fausto Papetti o Gary Numan. Solo che loro li scherzavamo perché erano per casalinghe romantiche, impiegati lascivi o darkoni del weekend. Invece a Esben And The Witch diamo importanza perché si rivolgono a spiriti nobilmente intellettuali e pensosi o perché parlano di spiritualità”.
A quel punto ci si sta anche chiedendo se i primi pezzi (The Well e Fear Not in particolare) erano parsi migliori solo perché erano, appunto, i primi. E questo nonostante non possa non piacere la voce lineare e partecipe di Rachel Davies e nonostante appaia più che buona l’idea da parte del trio di Brighton di abbandonare le ponderose atmosfere goth di qualche lavoro precedente a favore di un suono più trattenuto ed essenziale.
Cosa pensare, alla resa dei conti, di Hold Sacred?
Poi, per fortuna, arrivano i tre episodi conclusivi, Heathen, The Depths e Petals of Ash, dove la perenne sospensione delle situazioni sonore viene alleggerita da una dolente liricità alla This Mortal Coil. Certo, ci si pente per i malevoli paragoni iniziali, ma resta comunque difficile trovare emozionante un disco come Hold Sacred che, alla resa dei conti, si compiace del suo essere cupo, del suo cercare di dare un senso al dolore. Questo non significa necessariamente mettere davanti a chi ascolta le proprie ferite aperte secondo lo stile, giusto a titolo di esempio, della temibile Lingua Ignota. Significa, più modestamente, guardarsi dentro anziché guardarsi allo specchio. Altrimenti la musica muore, come cantava tanti anni fa uno che la spiritualità la prendeva sul serio come Juri Camisasca.
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