
Un “tuffo” nell’elettronica del profondo nord.
Plunge segna il ritorno di Fever Ray a ben otto anni di distanza dall’album d’esordio omonimo. Rispetto al precedente lavoro le atmosfere gelide risultano smorzate a favore di una maggiore facilità di ascolto.
Non solo Fever Ray
Karin Elisabeth Dreijer ha una lunga storia alle spalle. Svedese, classe 1975, nel 2000 fonda una band col fratello: i Knife. La cifra stilistica è chiara da subito. I quattro album in studio sfornati dal gruppo si caratterizzano per un genere che evoca scenari glaciali, tipici di un lunare paesaggio musicale scandinavo.
L’elettronica spadroneggia, le atmosfere gothic e industrial vestono melodie che strizzano l’occhio a vicini di casa quali Björk e Röyksopp. Un occhio di riguardo agli abusati anni ’80 completa una produzione comunque interessante. La voce di Karin è uno degli elementi di forza del gruppo. Un timbro deciso, freddo e teso che resta una caratteristica peculiare anche per il futuro dell’artista in questione.
Plunge: oneri e onori
Il primo lavoro da solista è stato favorevolmente accolto da pubblico e critica collocando Karin in un igloo di tutto rispetto. Con Plunge, Fever Ray cerca di fare un salto di qualità. Le intenzioni paiono quelle di offrire un prodotto meno algido dei precedenti in modo da riscaldare maggiormente lo spirito di chi ascolta. L’operazione riesce a tratti. In Plunge vi sono episodi caratterizzati da un lato solare quasi inedito, mentre in altri momenti l’uscita dalla nicchia appare più difficile e i codici di trasmissione più ostici.
Al primo ascolto ci si accorge di non essere di fronte a un lavoro facile o immediato non lasciando comunque dubbi sulle capacità date anche dalla meritevole e continua ricerca sperimentale. Le undici nuove tracce sono arrangiate alla perfezione e la voce della protagonista non fa una piega. Ottimo il singolo To The Moon And Back, un bel pezzo a tratti dance dove le intenzioni di entrare nell’ambiente mainstream sono chiare pur non rinunciando alle sonorità originali. Se Plunge fosse tutto così non ci resterebbe che salutare una nuova stella capace di scalare le classifiche mondiali con un’elettronica postmoderna e originale. Stesso discorso vale per il brano di apertura Wanna Sip e per la title track, un interludio solo strumentale, caratterizzato da un’ottima linea melodica decisa e tirata al punto giusto. This Country merita un ascolto attento: originale per musica e testo, forse è la vera sorpresa dell’intero disco.
In altri momenti, brani come Red Trails, o la conclusiva Mama’s Hand lasciano un senso di estraneità che possono stancare un orecchio poco avvezzo a un Nordeuropa che quando calca la mano sulle proprie origini fatica a raggiungerci.
Nel complesso Plunge rimane un disco degno di nota e decisamente particolare. Tentiamo un approccio alla maniera di una stramba escursione interstellare in un mondo “altro”. Un viaggio musicale che potrebbe anche aprire nuovi orizzonti.
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