Recensione: Floating Points, Pharoah Sanders, London Symphony Orchestra - Promises

La prima volta di Floating Points, Pharoah Sanders & the London Symphony Orchestra – Promises.

La prima volta che ho ascoltato Promises è stato in streaming una domenica sera, un’anteprima per gli addetti ai lavori (diciamo così). Prima dell’inizio una voce gentile si è raccomandata di utilizzare le cuffie, mantenendo una doverosa concentrazione. Ovviamente non l’ho fatto. A un certo punto mi sono addirittura alzato, pensando che non fosse poi così grave. Ma qualcosa, anche in quell’ascolto distratto, mi aveva già colpito.

Recensione: Floating Points, Pharoah Sanders, London Symphony Orchestra - Promises
Luaka Bop – 2021

In primis il fascino del sax di Pharoah Sanders, uno dei pochi testimoni rimasti della stagione della New Thing, l’ondata sperimentale del jazz degli anni Sessanta, con cui continuiamo a confrontarci ancora oggi. A ottantadue anni il suo stile non è più, inevitabilmente, quello ruggente e torrenziale di allora. Oggi il suono del suo tenore è sommesso, pacificato, anche se a tratti ancora capace di improvvisi furori. Il suo lirismo intransigente, declinato questa volta con cerebrale malinconia, la sua energia, che traspare anche in quelle note iniziali così serene e limpide, mi si erano conficcate in testa e non mi abbandonavano più.

Ascolto in cuffia necessario

Il giorno dopo sono andato a correre, in rispetto delle normative vigenti, e in cuffia ho riascoltato il disco. Questa volta è stata l’elettronica di Floating Points (nome dietro il quale si cela il dj e producer Sam Shepherd) a penetrare la superficie della mia attenzione. Mi sono sorpreso a verificare quale dei nove movimenti di cui è composta la suite stessi ascoltando, con che criterio fosse stata suddivisa e perché. Al terzo ascolto, il fronte sonoro della London Symphony Orchestra si è stagliato dietro l’orizzonte. A metà della suite si è preso la scena, poderoso, rassicurante, impetuoso e purificatore al contempo. Poi Sanders è tornato: quasi un soffio che cresce in uno dei suoi tipici urli provocatori, per poi lasciare all’orchestra (e alla meravigliosa elettronica di Shepherd) il compito ricondurci ad un silenzio improvviso.

Floating Points, Pharoah Sanders &  the London Symphony Orchestra – Promises onorano una grande tradizione

Mentre aspetto la versione in ellepi, per poterlo riascoltare sull’amato vinile, ripenso alla mia prima volta con A Love Supreme di John Coltrane (che non a caso chiamò Sanders nel suo gruppo negli ultimi due anni e ne fu influenzato nel modo di suonare). Non ricordo la sensazione che provai, probabilmente anche lì ci vollero molti ascolti; ma di sicuro quello è un disco che ancora oggi mi porto dentro, come uno dei pochi capaci di interpretare la complessa spiritualità dell’essere nell’universo. O perlomeno di farmici pensare.

 

Se per Arvo Part e Henryk Górecki è stato coniato il termine di Minimalismo Sacro, non credo di sbagliare se dico che qui siamo di fronte a un vero e proprio manifesto di un Minimalismo Laico. In grado però, di sintetizzare mondi musicali tanto lontani che grazie alla loro travolgente bellezza riescono a coesistere.

Floating Points, Pharoah Sanders, London Symphony Orchestra - Promises
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Da ragazzo ho passato buona parte del mio tempo leggendo libri e ascoltando dischi. Da grande sono quasi riuscito a farne un mestiere, scrivendo in giro, raccontando a Radio3 e scegliendo musica a Radio2. Il mio podcast jazz è qui: www.spreaker.com/show/jazz-tracks

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