No Gods No Masters è il grido d’allarme dei Garbage per un mondo disastrato.
L’inizio con slot machine ricorda anche concettualmente la celebre Money pinkfloydiana. Sui rumori della macchina mangiasoldi s’innestano elettronica, ritmi spezzati quasi funk e la voce di Shirley Manson che evoca una realtà sinistra. Il pezzo si chiama The Men Who Rule The World e dà il tempo e il senso a un disco che peraltro si fa già capire dal titolo: No Gods, No Masters.
Se dispiace assai che ancora in epoca pre-Covid il mondo avesse preso una piega pessimamente ingiusta, ci resta almeno la minimale consolazione che tale piega abbia consentito ai Garbage di svestire le giacche grigie più t-shirt nere da rocker pre-pensionati per ritornare in scena persino più grintosi degli inizi.
Breve storia dei Garbage
Ricordiamo che il quartetto nasce in quegli anni ’90 in cui il rock alternativo è una cosa seria sia per la circolazione delle idee che per quella di denaro. C’è il grunge, ci sono i Pixies e ci sono gli Smashing Pumpkins a unire asprezza di idee a begli esiti commerciali. La formula, con sapiente viraggio pop, funziona persino meglio per i Garbage guidati da Butch Vig, non a caso colui che aveva dato poco prima ai Nirvana il suono giusto per diventare celebri. Celebri ma infelici i Nirvana (almeno nel caso di Kurt Cobain), celebri ma più sereni i Garbage del vendutissimo primo album omonimo. E questo nonostante Shirley Manson provi qua e là a sembrare tenebrosa come Siouxsie.
In tutta onestà non si può parlare di musica davvero emozionante e le cose si inchiattiscono album dopo album, al punto che i nostri diventano quasi dei paradigmi del rock dato per morto. E ora ecco, come detto, il guizzo rabbioso di No Gods No Masters.
In No Gods No Masters i Garbage si fanno prendere dalla rabbia
Ogni ingiustizia, dal maschilismo al razzismo, dal capitalismo alla sopraffazione politica viene passata in rassegna secondo un assetto sonico-ideologico che potremmo definire pessimismo vitalista. Il mondo va male ma ci sono cose, la musica ad esempio, che possono fungere da boa a cui aggrapparsi o da faro a cui guardare per tentare l’approdo a un futuro un filino meno fosco. Non a caso, dopo momenti tesi, angoscianti e sempre con molta elettronica come Wolves e Godhead oppure disillusi come Waiting for God oppure ancora apocalittici come A Woman Destroyed, arriva l’inno ribelle della title-track: “Il futuro è comunque mio/ Nessun padrone e niente divinità a cui obbedire/ Rifarò sempre gli stessi errori”.
I Garbage salvatori del rock?
Detto tutto questo e aggiunto che la voce di Shirley Manson ha preso una piega aspra e a volte quasi sepolcrale, ci si potrebbe immaginare un album davvero bello. In realtà non è esattamente così. C’è troppa ricerca dell’effetto sia nei testi sia nei suoni, mancano le melodie memorabili e alla fine si percepisce una certa monotonia fatta di molto pensiero e poco sentimento. Alla resa dei conti i Garbage predicano ai convertiti e difficilmente attireranno nuovi adepti politici o sonici. E nemmeno potranno curare la crisi del rock. Ma nessun timore, per quella la medicina arriva dall’Italia e si chiama Måneskin.
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