A Reimagining By Makaya McCraven: Gil Scott-Heron – We’re New Again.
Da sempre il jazz è rilettura, ri-lavorazione, ri-masticamento, ri-appropriazione del passato. Forse non solo il jazz. Non c’è da stupirci dunque se la nouvelle vague chicagoana rappresentata qui dal batterista Makaya McCraven (uno degli alfieri dell’etichetta International Anthem) ha deciso di ri-percorrere I’m New Here, l’ultimo lavoro di Gil Scott-Heron del febbraio 2010, in We’re New Again (XL Recordings).
All’epoca il poeta e musicista di Chicago non pubblicava un disco da quindici anni, perso in una tragica tossicodipendenza che lo avrebbe condotto alla morte il 27 maggio 2011. È un’opera magnifica, dolente, scarna, che chiudeva un percorso musicale iniziato quarant’anni prima con tre dischi – Small Talk At 125th & Lenox Avenue, Pieces Of A Man e Free Will – che segnarono l’evoluzione (se non la nascita) del poetry speaking (l’omonimo disco dei Last Poets è del 1971 sta proprio lì in mezzo) e di tanto rap a venire.
Makaya McCraven e Gil Scott-Heron
Questo per sottolineare l’importanza della figura di uno dei più grandi cantori della cultura black. McCraven lo ha ascoltato da ragazzo (suo padre, musicista, non ha mai lavorato con Scott-Heron, ma con Jalal Mansur Nuriddin uno dei fondatori dei Last Poets) tanto che in un’intervista rilasciata a Pitchfork ai primi di gennaio ha dichiarato: “fare questo disco mi ha riportato a casa, in quel piccolo appartamento, con quei dischi che suonavano”; aggiungendo che durante la lavorazione si è astenuto dall’ascoltare l’originale, così come il remix (deludente aggiungo io) che ne aveva fatto Jamie xx nel 2011.
Lasciando quindi da parte la musica, McCraven ha utilizzato le tracce vocali di I’m New Here (oltre ad alcune registrazioni casalinghe del padre e della madre) e con l’aiuto di collaboratori fidati come il chitarrista Jeff Parker, il trombettista Ben LaMar Gay, l’arpista Brandee Younger e il bassista Junius Pau (aumentando di fatto la ‘familiarità’ del disco) ha reinterpretato, anzi per meglio dire, ha dato nuova musica a quelle parole.
We’re New Again
Se la voce baritonale e gorgogliante di Scott-Heron mantiene un fascino ineguagliabile, McCraven per il resto decide di rimescolare le carte: le due parti della composizione sulla sua infanzia di On Coming From a Broken Home si allargano a quattro; in Running per sostenere la voce sceglie una scarna ritmica rap mentre Blessed Parents sembra un omaggio all’Art Ensemble for Chicago di Fanfare fot the Warriors. New York is Killing Me ha accenti quasi latin jazz, mentre qua e là fanno capolino introduzioni orientaleggianti. L’episodio migliore è senza dubbio l’ urban talk di People Of The Light, con Jeff Parker in evidenza, mentre sia Me And The Devil (un blues di Robert Johnson) che I’m New Here (che arriva da Bill ‘Smog’ Callahan) perdono la drammatica tensione delle versioni di Scott-Heron.
I’m New Here vs We’re New Again
Sarebbe peraltro scorretto ridurre tutto a un (pur inevitabile) paragone con l’originale. Sicuramente non è quello che interessa a McCraven: il suo omaggio è solo un pretesto per creare un’opera, all’interno di un universo musicale condiviso, del tutto autonoma e nuova e come tale va considerata e giudicata. In questa prospettiva appare un’opera perfettamente calata nel movimento jazz attuale, perlomeno in quella parte di esso che ripercorre strade già battute ravvivandole di luce nuova; o ri-verniciandole di una patina lustra della quale è troppo presto per affermare se sia solo luccicore fasullo o autentico genio.
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