Ecco a voi Somnia, trentaquattresimo album degli Hawkwind
Come si fa a non voler bene ad uno come Dave Brock? Ha compiuto 80 anni tondi tondi lo scorso 20 agosto e non ha mai smesso di fare quello che noi abbiamo a malapena sognato da adolescenti: da oltre mezzo secolo è alla guida di una tostissima rock band. Lui è il nonno freak impenitente che ogni tanto sbuca fuori per portare un po’ di salutare scompiglio nel tranquillo salotto di famiglia. E in fondo in famiglia tutti quanti lo invidiano un po’.
Un po’ di storia degli Hawkwind
Inutile ribadire che gli Hawkwind, di cui è stato l’unico membro fisso, sono un’istituzione, rispettata anche da chi non li apprezza musicalmente. Parenti meno talentuosi e un po’ straccioni (e forse per questo più simpatici ed umani) di band quali Pink Floyd e Grateful Dead, con il loro space-rock hanno messo d’accordo gli estimatori dei generi più antitetici, dal progressive al punk (che di fatto hanno anticipato, basti ascoltare il micidiale Space Ritual, uno dei live più devastanti della prima metà degli anni ’70), dallo stoner rock all’elettronica.
Malgrado il discreto riscontro commerciale di molti loro dischi non hanno mai reciso i legami con la scena underground, sono stati animatori instancabili di free festival, concerti di beneficenza e svariate altre situazioni “alternative”. Il loro stile inconfondibile ha mantenuto una certa freschezza lasciandosi via via contaminare dai nuovi fermenti musicali: new wave, heavy metal, noise, techno, new age…
Ricordo di averli visti dal vivo a metà anni ’90; allora, proprio come oggi, erano un trio, Brock aveva all’incirca la mia età attuale e sembrava già straordinariamente vecchio per suonare rock ‘n’roll. Eppure fu un concerto trascinante, in cui fecero esattamente quello che ci si aspettava da loro: ci sollevarono da terra per accompagnarci in giro nello spazio.
Somnia e gli Hawkwind di oggi
Oggi gli Hawkwind stanno vivendo una nuova stagione, l’ennesima, di fertilità creativa, sono al sesto album in sei anni e questo Somnia (Cherry Red) è il loro trentaquattresimo (!) disco in studio (aggiungiamoci una quantità imprecisata di live più o meno legali, compilation e progetti collaterali). Brock è affiancato dal batterista Richard Chadwick e dal polistrumentista Magnus Martin, autore anche di un paio di brani. I testi sono imperniati sul tema del sonno, con riferimenti alla mitologia, al sogno, all’ insonnia… Nella musica ci sono svariati elementi familiari ai loro fan ed altri più inusuali. Ad esempio l’iniziale Unsomnia, composta da Martin, ci propone subito una cadenza motorik che non può non farci pensare ai Neu!. D’altronde è un ritmo strettamente imparentato con l’implacabile 4/4 tipico delle lunghe cavalcate sonore degli Hawkwind, forse ne rappresenta una versione un po’ più sofisticata e cerebrale, accompagnata dal consueto muro spacey di chitarre e pulsazioni elettroniche. Negli ultimi minuti la batteria scompare ed evocativi arpeggi acustici accompagnano il brano verso un finale etereo.
I brani di Somnia
Di seguito Strange Encounters spara un attacco al fulmicotone, con batteria tempestosa e un’orgia di distorsioni, per poi diventare una marcia apocalittica che alterna il canto corale e solenne a tormentati assoli spagnoleggianti di chitarra. Possiamo tirare il fiato con Alcyone, ballata suadente ed avvolgente, vagamente pinkfloydiana, ed il pregevole raga folk di Meditation. Counting Sheep, Small Objects in Space e Barkus danzano su un inconsueto ritmo elettronico in levare, un’ipnotica pulsazione quasi dub techno.
Il resto dell’album alterna e miscela riffoni heavy un po’ tamarri e ruffiani (I Can’t Get You Off My Mind), rock psichedelico, elettronica cosmica, testi declamati e drammatiche atmosfere da kolossal fantascientifico (chissà che Jodorowsky non abbia preso in considerazione anche gli Hawkwind, oltre a Magma e Pink Floyd, per la soundtrack della sua versione mai realizzata di Dune), con una cura certosina per i suoni e una classe ed esperienza che rendono piacevoli anche i momenti meno ispirati.
Somnia è un album più che dignitoso, non aggiunge molto ad una storia che ormai è già leggenda, ma serve a confermare che il pianeta Hawkwind brulica di vita e brilla ancora nel firmamento del rock.
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