Secondo disco per la giovane star del rock melodico inglese: Sam Fender – Seventeen Going Under.
Mi era capitato di vedere Sam Fender dal vivo appena prima della pubblicazione del suo primo album, Hypersonic Missiles, comunque anticipato da alcuni singoli. Pop-rock di buona fattura che stentavo a trovare interessante. Evidentemente il pubblico del Regno Unito la pensava differentemente, e infatti il disco è arrivato al top della classifica. Adesso il cantautore inglese pubblica il suo secondo LP, Seventeen Going Under (Polydor), certamente un passo in avanti rispetto al precedente, certamente accompagnato già dal successo commerciale e da recensioni estremamente positive.
Bruce Springsteen è il modello
La musica di Sam Fender esercita un appeal su quanti amano il rock melodico, che non rinuncia tuttavia all’energia. Di questi tempi e in un mercato dominato da altri generi non sono molte le proposte di questo tipo. Inoltre, Sam Fender in generale, ma con questo Seventeen Going Under in particolare, ha il pregio di parlare dell’Inghilterra, dunque è riconoscibile come un “prodotto” locale, sebbene con uno sguardo rivolto soprattutto alla musica degli States. Il brit-pop è lontano, mentre ciò che viene in mente ascoltando la sua musica, a partire dalla title track che apre il disco, è soprattutto Bruce Springsteen, in particolare direi quello degli anni ’80, per via della produzione patinata di questo Seventeen Going Under.
La storia personale di Sam Fender ispira Seventeen Going Under
Sam Fender proviene dal nord-est dell’Inghilterra, da una famiglia in condizioni economiche difficili, con genitori divorziati e una madre che all’età di quarant’anni, quando lui ne aveva diciassette, ha dovuto abbandonare il lavoro per una grave malattia. Il ‘Seventeen’ del titolo si riferisce a quella fase difficile della sua vita, e sembra essere lo spunto prevalente dell’intero disco, a partire dalla seconda traccia Get Started, dove ricorda una “età cataclismica da vivere / Quando sei senza fortuna e tua madre è nel bisogno / Ho fatto i miei soldi per i truffatori e gli spacciatori / Nella speranza di mettere qualcosa insieme per la notte”. Quando, come nella successiva Aye, il discorso si fa più sociale e meno individuale, la scrittura è meno a fuoco. La voce di Fender è potente, sebbene a volte monocorde.
Il giudizio
Dal punto di vista musicale Seventeen Going Under alterna pezzi abbastanza energici a qualche ballata, come la conclusiva The Dying Light. Il tutto estremamente radio-friendly (Mantra è l’esempio perfetto, nonché uno dei momenti migliori), senza grosse cadute e allo stesso tempo senza nulla di nuovo. Quando Bruce sparisce dal cruscotto di Sam Fender compaiono i già un po’ cloni The Killers e qualche occhieggiamento al post-punk (The Leveller). Nel complesso fatico a trovarvi tutti i pregi attribuitigli dalla critica musicale d’oltremanica, ma Seventeen Going Under si fa ascoltare, soprattutto se non si sceglie la versione deluxe, inutilmente lunga.
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