Recensione: Hope Sandoval & The Warm Inventions – Until The Hunter

Tendril Tales /Audioglobe – 2016
Un pochino dispiace dover ammettere che Until The Hunter è un ottimo disco. Dispiace perché Hope Sandoval è una delle artiste più sostenute mai incontrate da chi scrive. Risposte laconiche e banali a qualsiasi domanda (ma con il tono di chi enuncia cosmiche verità), perenne broncetto annoiato sul bel viso da indie-Bardot. Una volta può essere un caso, due no (soprattutto a vent’anni di distanza l’una dall’altra).
Hope Sandoval: charme poco comunicativo
Una piccola soddisfazione era stata dunque annunciare che Seasons Of Your Day, il suo disco del 2013 con i Mazzy Star (il gruppo da lei creato molti anni fa insieme all’appena più simpatico David Roback) era di una noia mortale. E dire che si trattava del loro grande ritorno dopo 17 anni di silenzio. Tante atmosfere e nessun accenno di canzone. O forse toccava all’ascoltatore intelligente l’onore e l’onere di cogliere le sottili variazioni fra un brano e l’altro…
Until The Hunter: terzo album con i Warm Inventions
Quanto a The Warm Inventions, è il nome del progetto che Sandoval condivide da inizio secolo con il batterista dei My Bloody Valentine Colm Ó Cíosóig (grafia ‘normale’: O’Ciosoig), progetto che rispetto ai Mazzy Star dovrebbe proporre una dimensione persino più astratta e dilatata. Invece è come se oggi i ruoli si fossero infine invertiti. Until The Hunter è un disco con molte sfaccettature e molte psichedelie, ma tutt’altro che vago. Una luce flebile eppure visibile da molto lontano illumina la suadente ossessività di Into The Trees, i toni da diario intimo di A Wonderful Seed, il flamenco da fine della notte di I Took A Slip o i languori di Let Me Get There, cantata a due voci con uno svaccatissimo Kurt Vile. Alla fine spunta a sorpresa persino il desert rock al limite del roboante di Liquid Lady.
La cosa importante è comunque un’altra, ovvero l’assenza (almeno apparente) di sussiego. Qui ci sono canzoni in cui possono specchiarsi gli ascoltatori e non solo gli artisti. Ci sono emozioni vissute e non somministrate. C’è una malinconia come modo d’essere e non di apparire. C’entra forse la bellezza che a 50 anni comincia a sfiorire?
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Giornalista musicale di pluriennale esperienza, ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E’ autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume “Folk inglese e musica celtica”. E’ stato uno dei curatori della riedizione, nel 2017, degli album di Rino Gaetano. Fa parte della giuria del Premio Piero Ciampi. Si occupa di eventi di vario tipo dedicati alla musica rock.