Ibibio Sound Machine e il non senso della globalizzazione in musica.
Sono in Africa, nel senso che mi trovo fisicamente in Benin, un minuscolo stato di fianco alla Nigeria. Qui, parlando con alcuni giovani musicisti locali, decisamente male in arnese, mi viene chiesto cosa penso degli Ibibio Sound Machine. La mia ignoranza lascia perplessi. Non sono io che mi diletto scrivendo di musica, anche africana, su un web magazine italiano? Non conosco la band anglo-nigeriana giunta al quarto album e recensita dalle maggiori testate planetarie? No, non conosco, dico con malcelata perplessità, e subito i nuovi amici mi propongono un ascolto tempestivo. La mia lacuna è, a quanto pare, imperdonabile.
Mi metto di buzzo buono e con aria accomodante lascio che la lentissima connessione internet mi permetta di accedere all’ascolto del nuovo disco: Electricity (Merge Records). Lo stupore è immediato! Gli Ibibio Sound Machine mi convincono da subito e decido di saperne di più. La band, sulle scene dal 2014,è composta da una front woman, Eno Williams, e altri sette musicisti/e di provenienza diversa. Electricity, il loro quarto album, è uscito nel marzo del 2022 ed effettivamente ha avuto un’accoglienza di tutto rispetto. L’entusiasmo cresce con gli ascolti successivi.
Ibibio Sound Machine: un collettivo fuori da ogni etichetta
Parlare di musica non occidentale, ancora oggi, non è sempre facile. In questo caso è meglio abbandonare le ansie definitorie – “musica etnica”, “world music” o altro – dal momento che la band in questione esce dagli schemi e disorienta mandando in fumo tutte le aspettative che il caso potrebbe suggerire. Gli Ibibio Sound Machine non cercano, a tutti i costi, di far convivere “elementi esotici” con il pop occidentale, operazione a cui siamo avvezzi e affezionati. Electricity è un album in cui coesistono vari generi, che hanno fatto la storia della musica contemporanea, senza bisogno di fondersi per creare il “nuovo sound”. Invocare la globalizzazione o la glocalizzazione non ha senso e questa è la novità.
Le canzoni di Electricity
L’approccio cosmopolita di Eno Williams & Co. è un sussidiario che trapassa con nonchalance dal funk all’afrobeat, dall’elettronica alla melodia tradizionale africana senza lasciare spazio a inutili speculazioni. Nei dodici brani si respira davvero di tutto senza uno schema definito da un qualche dogma. Solo canzoni che scuotono l’ascoltatore anche più scafato. Si parte con Protection From Evil, e subito si balla su uno spoken word spedito e martellante: la voce della Williams ricorda Grace Jones, un ottimo biglietto da visita. Si prosegue con la title track. Qui la melodia ha tinte più delicate e l’elettrofunk si tinge di vintage. Un accenno a quello che si chiamava “contaminazione” lo troviamo in Casio (Yak Nda Nda) per finire in un contesto totalmente africano, Afo Ken Doko Mien, dove la “contaminazione” è praticamente assente e la ballata risulta semplicemente perfetta. Avanti così! Tra rimandi ai Talking Heads in 17 18 19 e alla rumba congolese di Oyoyo, Electricity si conclude con Freedom, piacevolissima nel suo incedere elettropop alla maniera di St. Vincent nell’album omonimo. E chi troviamo dietro la consolle a contribuire alla riuscita dell’operazione? Niente meno che gli Hot Chip che provvedono ad amalgamare il tutto con la loro nota dance strampalata. Forse manca un brano da memoria, ma potrebbe non essere questo lo scopo della band, dal momento che, nel complesso, il messaggio è chiaro: oggi l’identità è davvero fluida e le definizioni hanno fatto il loro tempo. Ad maiora!
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Mauro Carosio
Ha suonato con band punk italiane ma il suo cuore batte per il pop, l’elettronica, la dance. Idolo dichiarato: David Byrne. Fra le nuove leve vince St. Vincent.
