Japandroids – Near To The Wild Heart Of Life.
Buffo come da più parti i Japandroids siano visti quali autorevoli candidati al titolo di salvatori di un rock poco in salute. Salvatori in verità improbabili dato un nome che fa pensare a un gruppo di electro-wave tedesca e un aspetto che rimanda a una cover-band italiana. D’altro canto la situazione del settore è quella che è. Black Keys e Kasabian sono discograficamente fermi da parecchio tempo, i Muse si propongono ormai come cloni di se stessi e, alla resa dei conti, i più in salute paiono… ehm ehm… i Bon Jovi.
Gli infermieri del rock arrivano da Vancouver e si chiamano Japandroids
Chissà, forse il duo di Vancouver ha percepito una sorta di vuoto di potere e, dopo cinque anni di silenzio, ci si è tuffato con questo terzo album, Near To The Wild Heart Of Life. Si tratta di un disco che dimentica del tutto il passato punk e minimalista degli esordi per un suono, almeno nelle intenzioni, semplice ma nerboruto, lineare ma potente.
Gli otto pezzi scorrono all’insegna di una tonicità chitarristica solida e un po’ monocorde e vanno a formare una sorta di lungo inno alla bellezza dell’esistenza (magari un minimo alternativa) nonostante le sue difficoltà. Si tratta dell’immagine retorica che ha forgiato gran parte del rock americano e riproporla non è colpa grave. Il punto è che per farlo con pertinenza ci vorrebbe almeno un piccolo contributo di originalità. O di follia. O di scemenza. Un piccolo contributo che qui manca del tutto.
Near To The Wild Heart Of Life: intenzioni buone, risultati incerti
Certo, qualche pezzo (True Love And A Free Life Of Free Will, ad esempio) va vicino al cuore selvaggio della vita menzionato nel titolo. Ma solo vicino, appunto. Qualche altro si propone come rock da stadio e non è male (North East South West). Peccato solo per il piccolo difetto di far pensare a uno stadio del calcio italiano. Mezzo vuoto, cioè. Il rock come la serie A: oh, questa sì che è poca salute.
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