BlackKeys TurnBlue

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Turn Blue, disco della svolta per The Black Keys.

Si apre con un suono inquietante di tastiera dalle reminiscenze pinkfloydiane il nuovo disco dei Black Keys – Turn Blue. Inquietante almeno per quanti si sono affezionati negli anni al blues-soul-rock del duo di improbabili rockstar Auerbach/Carney, arrivato al successo nel 2010 con Brothers, poi bissato nel 2012 da El Camino. Diciamo subito che Turn Blue è almeno in parte cosa diversa dai predecessori. I Black Keys sembrano maggiormente interessati a esplorare il rock anni ’70 (Gotta Get Away ne è l’esempio più lampante), magari aggiungendo tocchi psichedelici (l’iniziale Weight Of Love e Bullet In The Brain, soprattutto).

Il primo singolo Fever è uno dei pochi episodi che ricordano Brothers/El Camino, e chissà che non sia stato scelto proprio per questo. Altra differenza rispetto al passato riguarda gli arrangiamenti, ricchi di tastiere e orchestrazioni insolite per i Black Keys, nei quali il nucleo chitarra/batteria è ormai solo una componente del suono.

The Black Keys ormai più che un duo

Va detto che questa è, per la band, una realtà ormai chiara da tempo: non solo perché il produttore Danger Mouse, che li accompagna da Attack & Release (2008), è ormai il terzo membro del gruppo, ma anche perché da anni i Black Keys compongono brani che non si prestano a un’esecuzione in due; il che li rende cosa molto lontana dai White Stripes ai quali inizialmente venivano paragonati. Chi li ha visti dal vivo sa inoltre che una breve parte del set li vede tornare alla vecchia formazione a due, ma per il resto dei brani post 2008 un gruppo di strumentisti li accompagna costantemente.

Tuttavia, su Turn Blue è l’approccio alla complessità strumentale che differisce dal passato; non sempre il risultato è brillante: qualche tastiera in meno avrebbe aiutato; mentre a volte (soprattutto sulla title track) ci si aspetterebbe una produzione in grado di aiutare la canzone a esplodere, cosa che non avviene.

Una nuova dimensione “troppo rock”?

E’ questo che lascia perplessi ai primi ascolti e che potrebbe allontanare (anzi lo sta già facendo) alcuni (ex) fan. Tuttavia, se si fa l’abitudine a questo nuovo approccio il disco rileva i suoi segreti: le composizioni sono quasi sempre di ottimo livello. L’approccio rock anni ’70, anche questo in parte nuovo per la band, è reso meno noiosamente trionfalistico di quanto potrebbe essere da una malinconia diffusa, interpretata in modo eccellente dal cantato, spesso in falsetto, di Auerbach.

I capelli di Bob Dylan

Che poi potrebbe essere il responsabile di questi chiaroscuro, avendo composto il disco durante la causa di separazione dalla moglie, notoriamente difficile e a un certo punto ai limiti del farsesco (la lite sulla “ciocca di capelli di Bob Dylan”, poi rivelatasi essere il soprannome di un poster). Comunque sia, ci sono buone speranze che i Black Keys, con questa parziale svolta, non intendano mettersi sulla strada di altre rock band americane scoppiate in concomitanza con il successo, come per esempio i Kings Of Leon. Il cambiamento è sempre stato nelle corde del duo di Akron e Turn Blue potrebbe essere la svolta, magari non perfetta, ma sempre garantita dal talento, verso nuove avventure.

7,6/10

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Mi piace la musica senza confini di genere e ha sempre fatto parte della mia vita. La foto del profilo dice da dove sono partita e le origini non si dimenticano; oggi ascolto molto hip-hop e sono curiosa verso tutte le nuove tendenze. Condividere gli ascolti con gli altri è fondamentale: per questo ho fondato TomTomRock.

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