The Spur: ritorna la malinconica serenità di Joan Shelley
L’ultima volta che si è parlato qui a tomtomrock di Joan Shelley (cinque dischi tra cui bel disco omonimo del 2017) , c’era di mezzo un progetto a nome Bonnie Prince Billy & Nathan Salsburg nel quale la Shelley accompagnava al piano i titolari del progetto (non del tutto riuscito) dedicato alle poesie di Max Porter. Visto che Salsburg è suo marito, può essere che la cantautrice del Kentucky vi abbia partecipato senza troppa convinzione…
A parte questa considerazione (forse da non esporre alla diretta interessata), la gestazione di The Spur (No Quarter) coinvolge l’ambito di relazione in diversi modi. La gran parte del disco è stata scritta in questi ultimi anni, in piena pandemia, mentre i coniugi Salsburg/Shelley stavano per diventare genitori. Ad occhio e croce anche la title track, (“Sii lo sprone nel mio fianco, l’ombra sui miei occhi…”) allude a una protezione reciproca nell’ambito familiare. Il disco registra come principali attori i due musicisti, assieme al produttore James Elkington (Wilco, Richard Thompson, Steve Gunn) che agisce portando una messe di strumenti e consigli, al pari di illustri omologhi come Daniel Lanois e T-Bone Burnett.
Joan Shelley – The Spur: collaboratori e ‘maestri’
Ci sono anche importanti cameo quali la voce di Bill Callahan in Amberlit Morning e quella di Meg Baird in Forever Blues e in Completely. Max Porter riappare collaborando ai testi di due brani. Per quanto riguarda il suono, siamo di fronte ad un disco piacevole, talvolta demodé, con agganci ad artisti come Kate Wolf e Gene Clark (Fawn, Like The Thunder). In altre parti, le orchestrazioni di archi e fiati possono ricordare gli arrangiamenti che Robert Kirby o John Wood approntarono per Nick Drake. D’altronde la stima della Shelley verso la poetica del cantautore inglese è nota e rivendicata da dichiarazioni e cover. The Spur è un gran bel disco, di malinconica serenità, che potrà invecchiare con dignità, alla maniera del celebre bourbon del Kentucky…
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