La classe inalterata di John Foxx And The Maths: Howl.
Già all’uscita pre-pandemica del singolo Howl sono andato in fibrillazione. La notizia che Robin Simon, chitarrista di System Of Romance degli Ultravox! versione Foxx fosse tornato a collaborare con il vecchio sodale e l’ascolto della canzone mi avevano posto in modalità di attesa spasmodica.
Dunque, in pratica John Foxx non è mai sparito completamente dalla circolazione, negli ultimi 20 e passa anni ha disseminato un mercato molto di nicchia con una produzione corposa e incessante, diviso tra pop songs cybernetiche e spaziali ambient works con dotti collaboratori qua e là, ma la notizia di oggi è che, rimandata a causa COVID 19 da maggio a fine luglio l’uscita di John Foxx And The Maths – Howl, l’attesa è stata ampiamente ripagata.
Oltre gli Ultravox!
Si sa, dopo l’avventura Ultravox! Foxx esordì con il capolavoro gelido Metamatic, elettronica purissima riscaldata solo da alcuni tratti della sua voce. Salvo poi fare una inversione a U con The Garden che invece riprendeva alcune suggestione dell’ex casa madre per poi perdersi in ulteriori uscite troppo marcatamente segno di quegli anni 80 che toccarono bene o male tutti. Il ritorno all’elettronica alla metà dei 90 lo consacrò culto indiscusso ma le major oramai erano partita chiusa e da qui, vedi sopra, una carriera onestissima ma riservata a pochi eletti.
Un disco in collaborazione
Con Howl John Foxx, accompagnato alla quinta uscita da The Maths alias Benge, sopraffino elaboratore di suoni analogici e da Hannah Peel che si distingue in questo lavoro per un utilizzo del violino che ricorda Billy Currie, elargisce un lavoro che è perfetto trait d’union tra il passaggio da band leader a solista. Il disco è effettivamente impressionante, atemporale nel suo essere modernamente vintage e gli ascolti reiterati si rendono piacevoli come da tempo non avviene.
John Foxx And The Maths – Howl
Primo pregio, la sintesi, otto titoli per 39 minuti, e quantomai polisemica in questo caso. L’iniziale My Ghost, omaggio in/volontario addirittura a Mongoloid dei Devo, è programmatica di quel che seguirà. Ossia la titletrack, Howl, con quell’incipit chitarristico di bowiana memoria: diciamo It’s no Game part 3? Everything Is Happening at The Same Time parte con un riff alla Quiet Men e sfocia in una beatlesiana (vecchi amori del Nostro) Tomorrow Never Knows , il cui pattern è tra i più citati nella storia della musica popolare. Tarzan and Jane Regained è di nuovo un bellissimo ricordo. Eno li ascolta e decide di produrli, identificando in loro quello che i Roxy sarebbe potuti diventare con Brian e senza Bryan.
The Dance è uno dei punti massimi del disco, ma tutta ‘sta ispirazione Foxx dove la teneva in questi anni? Ci si può sentire persino il Battiato di Patriots… New York Times è metamatica al midollo del bit. Last Time I Saw You un altro profluvio di ricerca nel suono e echi di ballardiana memoria. Si conclude con Strange Beauty, il brano che volevamo sentire se eravamo alla ricerca della vena più ieratica e romantica di John Foxx, una canzone di stranamore che ascolteremo quando saremo negli anni 2000 e vivremo nel futuro e tutto sarà asettico e perfetto, tutti i problemi del pianeta risolti, nessuna forma di inquinamento, pace e amore e …ah, ma nel 2000 ci siamo già da 20 anni, peccato che appaia invece come un medioevo senza Monty Python.
Questo tra i dischi dell’anno ci va di filato, e senza i soliti giochi di parole (quel volpone di Foxx, Ultrafoxx….mi annoio da solo).
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