Il progetto Le Cri du Caire.
Le Cri Du Caire nasce intorno alla figura del giovane poeta, cantante e compositore, sue tutte le tracce del disco, Abdullah Miniawy, scoperto da Blaise Merlin, direttore del festival La Voix est Libre, durante i giorni turbolenti e tumultuosi della protesta di Piazza Tahir al Cairo. Era il 2013 e in uno studio di registrazione del Cairo Merlin ascolta e rimane ammaliato dalla forza ipnotica della voce del giovanissimo Miniawy, nei cui testi e nel canto risuonano le speranze, le sofferenze e la voglia di riscatto della gioventù egiziana. Inizia così una collaborazione fra i due che porterà il cantante a esibirsi in vari festival e a entrare in contatto con vari musicisti della scena europea, che contribuiranno a rendere possibile il suo trasferimento in Francia che si configura come un vero e proprio esilio.
Gli strumentisti
È in particolare la collaborazione col sassofonista inglese Peter Corser, il violoncellista tedesco Karsten Hochapfel e il trombettista svizzero Eric Truffaz a diventare qualcosa di più stabile e a portare, dopo diverse esibizioni nei più importanti festival francesi ed europei, a questo primo lavoro su disco, pubblicato da Airfono e da Les Disques du Festival Permanent e registrato nell’austera atmosfera dell’ Abbazia cistercense di Noirlac. Già queste prime note biografiche ci fanno capire che il titolo del disco e il nome della band fanno riferimento esplicito alla drammatica situazione egiziana sotto il regime dispotico di Al-Sisi, ma i testi non sono esplicitamente politici, Miniawy non vuol restare intrappolato nel ruolo di voce della rivolta, ma riflettono sulla sua situazione esistenziale e i problemi della vita in esilio attraverso un raffinato e colto linguaggio poetico.
La voce di Abdullah Miniawy
Il primo singolo Pearls for Orphans è il canto doloroso dell’esule reso magistralmente dalle modulazioni del canto sufi, anche in Splendid Tales è la ricerca di conforto in una madre che è lontana, splendido l’arrangiamento dominato dall’interplay fra violoncello e sax a comunicare il senso di smarrimento e dolore. Merito principale del disco è infatti quello di riuscire a fondere la musicalità poetica araba, ben incarnata dalla voce di Abdullah Miniawy incredibilmente efficace nel comunicare i diversi sentimenti, dolore, malinconia, rabbia, paura, ostinazione, con strumentisti provenienti dal jazz e con esperienze d’avanguardia e di improvvisazione che arricchiscono arrangiamenti complessi e decisamente riusciti.
Quello dell’egiziano è un canto che deve molto allo stile sufi, in certi momenti in brani come Balaya o Splendid Tales si esibisce in un virtuosismo che dà le vertigini e ricorda, con le dovute proporzioni il qawwali di Nusrat Fateh Ali Khan, ma anche l’accorata drammaticità della canzone classica araba di Oum Khaltoum. Le Cri du Caire è un canto alla libertà o, meglio, un grido di dolore per la mancanza di libertà.
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