London Brew

Il progetto London Brew rende omaggio  a Bitches Brew di Miles Davis

All’inizio del 2020, per celebrare i 50 anni dalla pubblicazione di Bitches Brew, un gruppo di dodici artisti, il gotha del jazz londinese (enji B, Raven Bush, Theon Cross, Nubya Garcia, Tom Herbert, Shabaka Hutchings, Nikolaj Torp Larsen, Dave Okumu, Nick Ramm, Dan See, Tom Skinner, Martin Terefe) si riunisce con l’intenzione di tenere una serie di concerti in onore del doppio album di Miles Davis. ll progetto a causa del Covid non si concretizza, ma il collettivo si riunisce per una seduta di tre giorni nel dicembre di quell’anno. Il risultato è questo doppio album (poco più di ottantotto minuti), sorta di omaggio all’altrettanto doppio album (poco più di centosei minuti) pubblicato da Miles Davis il 30 marzo 1970. E registrato anch’esso in tre giorni, durante i quali Miles disse al produttore Teo Macero di lasciare semplicemente acceso il registratore e incidere tutto quello che avrebbero suonato.

Intenzioni ed esiti di London Brew

Ma le similitudini finiscono qui. Fortunatamente. Sarebbe stato insensato cimentarsi in una serie di cover o anche tentare di rievocare l’atmosfera di quel jazz–rock che diventerà l’ennesimo cambio di direzione del trombettista di Alton, oltre che uno degli album più influenti nella storia della musica. L’apertura di London Brew (Concord Jazz) con il brano omonimo rimanda più a certe sonorità di Bill Laswell e Jon Hassell, ventitré minuti caotici e magmatici in cui spicca il clarinetto basso di Shabaka (allora c’era quello di Bennie Maupin). London Brew Pt.2 – Trainlines mette in evidenza la chitarra di Dave Okumu e a tratti evoca Steve Reich. Miles Chases New Voodoo in the Church cita esplicitamente il tributo di Miles Davis a Jimi Hendrix che aveva appena registrato Voodoo Child (e qui è  Nubya Garcia al proscenio) e ci porta all’episodio più riuscito del disco – Nu Sha Ni Sha Nu Oss Ra – in cui ancora Hutchings dialoga con la melodica di Nikolaj Torp.

I restanti quattro brani non modificano la sensazione di fondo: Miles Davis dichiarò che “quello che suonammo per Bitches Brew, sarebbe impossibile scriverlo e farlo suonare ad un’orchestra, ed è per questo che non lo scrissi”. Analogamente anche qui non sembra esserci una direzione ben precisa nelle dodici ore di materiale registrato. Con la differenza che se allora a tirare le fila di un simile progetto creativo c’era un Miles Davis all’apice della sua grandezza, London Brew fatica a trovare coerenza e consistenza (se non a tratti e sempre per merito di Hutchings come in Mor Ning Prayers) per tutta la sua durata.

London Brew - London Brew
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Da ragazzo ho passato buona parte del mio tempo leggendo libri e ascoltando dischi. Da grande sono quasi riuscito a farne un mestiere, scrivendo in giro, raccontando a Radio3 e scegliendo musica a Radio2. Il mio podcast jazz è qui: www.spreaker.com/show/jazz-tracks

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