A Tribute To Tom Petty: Lucinda Williams – Runnin’ Down A Dream.
Con Runnin’ Down A Dream Lucinda Williams inaugura una serie annunciata di sei omaggi ad illustri colleghi. Si comincia, forse per le maggiori affinità o forse perché il dolore per la relativamente recente perdita è ancora ben vivo, con tredici canzoni di Tom Petty. In questi casi è difficile sfuggire alla tentazione di un confronto con gli originali per capire fino a dove si è spinta la capacità reinterpretativa del “coverista” rispetto al “coverizzato” e quale ne sia stato il risultato finale.
Pur confessando di non amare gli stravolgimenti eccessivi – a meno che non siano fatti dallo stesso autore: il riferimento a Dylan è fin troppo ovvio – è altrettanto ovvio che è proprio la capacità di personalizzare e interpretare secondo una diversa sensibilità brani altrui a “giustificare” la riproposta di una cover. Diciamo subito che in questo senso l’approccio della musicista della Louisiana alle canzoni dell’illustre collega è molto, forse fin troppo, rispettoso. D’altra parte questa è probabilmente una diretta conseguenza della comune cifra stilistica country-rock di entrambi.
Un disco di chitarre
Runnin’ Down A Dream si configura essenzialmente come “disco di chitarre”: abolite completamente, con buona pace di Benmont Tench, le tastiere e l’armonica. Abolito anche ogni altro contributo vocale; del resto non sarebbe stato facile trovare voci capaci di amalgamarsi con quella di Lucinda. Armonie e melodie ricalcano fedelmente gli originali; le uniche differenze stanno in una maggiore o minore velocità – peraltro entrambe quasi sempre piuttosto tenui – di esecuzione dei brani: quasi impercettibilmente rallentati Rebels, Face In The Crowd e Wildflowers, altrettanto leggermente velocizzati pressoché tutti gli altri. In Face In The Crowd si distingue perennemente sullo sfondo una chitarra twang la cui presenza è molto più accentuata rispetto all’originale. Forse il brano in cui si notano le maggiori differenze rispetto all’originale è proprio Wildflowers, nel quale ad un andamento lievemente meno ritmato fa riscontro una voce particolarmente intensa ed ispirata, nella quale pare di cogliere anche una nota di commozione.
Lucinda Williams e Runnin’ Down A Dream non stravolgono gli originali.
Chi si aspettava un’operazione, e magari un risultato, analoghi agli American Recordings di Johnny Cash è, a nostro modesto avviso, destinato a cambiare prospettiva: qui siamo su altre latitudini (e longitudini). Forse il fatto che l’omaggio sia in questo caso monodirezionale, cioè rivolto ad un unico artista, ha contribuito a questo risultato.
Di fatto la differenza fondamentale – pressoché l’unica – tra queste riproposizioni e gli originali sta, ovviamente, nella particolarissima voce di Lucinda; a maggior ragione ancor più risaltante se si considera che non era certo la voce, pur gradevole, il punto di forza di Tom Petty e la prima ragione del suo successo. Intendiamoci, il disco si ascolta con piacere, e non potrebbe essere altrimenti: Petty è stato un grandissimo songwriter e Lucinda Williams quando canta riuscirebbe a rendere interessante – come si dice solitamente in questi casi – anche l’elenco del telefono. Resta il dubbio su quanto fosse davvero “necessario” un disco che in fondo non aggiunge niente né all’interprete né all’interpretato: domanda probabilmente oziosa e alla quale ognuno è ovviamente libero di dare la propria risposta. O anche di non rispondere affatto, che è forse la cosa più sensata da fare. In ogni caso non ci resta che attendere le ulteriori “monografie” dell’annunciato jukebox di Lucinda per vedere se questa linea di tendenza interpretativa si modifica o resta più o meno inalterata.
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