Mannequin Pussy al quarto album con I Got Heaven: ed è il loro migliore.
Sono passati dieci anni dall’esordio di Mannequin Pussy con l’album omonimo, ma è con il nuovo I Got Heaven (Epitaph) che raggiungono la maturità espressiva, mettendo insieme un disco breve ma intenso con l’aiuto dell’esperto produttore John Congleton, uno che si fa prima a dire con chi non ha lavorato (ma ricordiamo almeno Sleater-Kinney e St Vincent).
Alternative rock a tratti nostalgico ma efficace
Etichettato come punk band, il quartetto per tre quarti femminile in seguito alla partenza del chitarrista fondatore Thanasi Paul, e ora composto da Marisa Dabice, Kaleen Reading, Colins “Bear” Regisford, Maxine Steen, amplia qui notevolmente il suo registro espressivo. I richiami a un punk virato al pop, sia pure restando ancorati a un suono aggressivo, non erano mancati nemmeno in passato, e anzi un certo amore per la melodia è rivendicato esplicitamente. Tuttavia, I Got Heaven vede Mannequin Pussy in linea con il suono alternative rock americano del decennio a cavallo fra tardi anni 80 e tardi 90, o se si preferisce da Pixies a Hole.
Mannequin Pussy – I Got Heaven
La title track è anche il manifesto della nuova attitudine della band, con un classico stop & go molto efficace, subito doppiato da un altro brano chiave, Loud Bark, il più reminiscente dei Pixies. È un biglietto da visita davvero niente male, questo inizio. Nothing Like e I Don’t Know You sono pop sognante, la seconda migliore della prima. Rischiando di virare troppo verso un pop con poca spina dorsale, Mannequin Pussy si ricordano di essere punk con Ok? Ok! Ok? Ok!, due minuti di energia, mentre Softly riporta in territori Pixies, ed è un altro dei momenti davvero buoni del disco. Of Her e Aching sono muscolari, la conclusione di Split Me Open gentile all’inizio, poi con un crescendo trascinante.
I testi accompagnano bene la musica, meno ‘sociali’ che in passato, più legati alla condizione esistenziale, al dialogo fra romanticismo dei sentimenti e passionalità animale. La copertina, spiegata dalla band come frutto di scambi scherzosi fra loro e John Congleton, incarna però bene questo dualismo.
Pur non suonando nuovi o rivoluzionari, decisamente Mannequin Pussy sono una delle band di rilevo per questa prima parte del 2024, e il loro I Got Heaven è un disco al quale si torna molto volentieri e spesso: dura soltanto una mezz’ora ma riesce a essere accattivante e spesso trascinante. Magari meno carico e immediato dell’esordio degli irlandesi Sprints, comunque ugualmente un segnale che la voglia di rock con un certo tasso di energia è tutt’altro che esaurita.
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