Matt Waldon Not too late

Matteo Baldon / Matt Waldon offre la sua versione della tradizione americana in Not Too Late.

Un americano a Padova (per essere precisi, a Conselve)! Ma Matt Waldon, al secolo Matteo Baldon, non ha proprio niente del cialtronescamente imitativo approccio di Alberto Sordi alla cultura d’oltreoceano nel noto film di Steno di cui ci siamo permessi di parafrasare il titolo. Di quella cultura, ma soprattutto di quella musica della quale ormai da decenni è uno degli ambasciatori più accreditati, Matt Waldon – con Not Too Late (Altro Records) al suo quarto disco – è testimone ed epigono convinto e convincente.

In questa sua ultima fatica, Waldon mette insieme undici brani con testi ispirati a episodi di vita vissuta, magari qualche volta in prima persona, (Never Alone, Black Hole, Hands, Raining, Wildflower) e improntati a una sostanziale malinconia, che però non prelude necessariamente a un esito pessimistico (Not Too Late, Come To Me, A Place To Fall). Ad eccezione, ovviamente, del brano Oh Neal, commossa dedica all’amico e collega Neal Casal, incapace di resistere alle “lusinghe” della depressione.

Le fonti del musicista di Conselve

Musica americana, si è detto: già, ma in quale delle sue molteplici sfaccettature? A nostro avviso le principali fonti di ispirazione di Waldon, assimilate fin dalla gioventù e coltivate frequentandole da vicino e intessendo rapporti diretti, sono da ricercare in tutta una serie di esponenti di quello che potremmo chiamare il “cantautorato roots rock”. Numi tutelari, su tutti, forse Tom Petty (Never Alone, Come To Me, Wildflower)  e John Mellencamp (Hands), ma anche tutta una folta schiera di musicisti riconducibili alla cosiddetta scuola texana di Austin e dintorni. In particolare nei brani più lenti, “dolci” e malinconici come Remind Me e Raining, si avverte sullo sfondo la presenza di Townes Van Zandt e, forse soprattutto, Vic Chesnutt. Pur se dalla parte opposta dell’Atlantico Waldon si inserisce a pieno diritto in quella schiera di musicisti che negli ultimi anni hanno tenuta viva questa tradizione, come Jason Isbell, Thom Chacon, Rod Picott e moltissimi altri, compreso quel misconosciuto talento che risponde al nome di Kevin Salem e che di Waldon è da anni collaboratore e amico personale.

La strumentazione essenziale di Matt Waldon in Not Too Late

Musicalmente siamo di fronte a un disco “chitarra, basso, batteria”, né poteva essere diversamente visto il genere: una chitarra generalmente “pulita” e declinata anche nelle “modalità” slide e lap steel (e anche questo era più che lecito attenderselo). Non ci pare di aver sentito traccia di altri strumenti come tastiere, archi o armonica, ma in Never Alone a far compagnia al protagonista, che è tra l’altro un ottimo chitarrista sia con l’acustica sia con l’elettrica, arriva una gradevolissima voce femminile.

Insomma, se siete dei talebani delle sperimentazioni e delle novità a tutti i costi lasciate pure perdere. Ma se non disdegnate un disco di sano roots rock composto di brani ben scritti, ben arrangiati, ben suonati e ben cantati, che rinverdiscono una tradizione ancora ben lontana dall’essere superata provate a dedicare qualche decina di minuti a Matt Waldon e al suo Not Too Late; potreste non pentirvene! Che poi all’ascolto non ci si accorga che tutto ciò viene dal Veneto invece che dal Texas o dalla Louisiana è un ulteriore titolo di merito.

Matt Waldon - Not Too Late
7,2 Voto Redattore
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“Giovane” ultrasessantenne, ha ascoltato e ascolta un po' di tutto: dalla polifonia medievale all'heavy metal passando per molto jazz, col risultato di non intendersi di nulla! Ultimamente si dedica soprattutto alla scoperta di talenti relativamente misconosciuti.

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