
E poi al secondo brano è arrivata l’illuminazione. Al risuonar delle prime note di Tragedy (e non suoni metaforico) l’ho visto: phonato alto, colletti della camicia agli antipodi, sorriso smagliante. Probabilmente è apparso anche a Norah Jones, con le stesse sembianze (o magari di persona, è ancora vivo) e l’ispirazione l’ha folgorata. Sto parlando – Naturally – di Gilbert O’Sullivan, (in)dimenticato cantautore irlandese che nei ’70 dominava innocuo le classifiche di mezzo mondo. Alone Again, Claire, What’s A Kiss, chi non ha ballato almeno una volta (parlo degli ultra-anta, ovvio) al suono di quelle melodie vagamente dolciastre e velenose? Mentre fuori il mondo impazzava tra progressive, punk, wave e disco-funk, lui, sereno, inanellava ritornelli facili da memorizzare, ottimi per dondolarsi ed eventualmente, se la ragazza lo permetteva, anche abbarbicarsi stretti stretti.
Norah Jones fa musica jazz? Proprio no!
E ho capito che Norah, fatte le debite traslazioni, lì vuole stare (o forse, lì deve stare). Dimenticatevi che è la figlia (non proprio prediletta) di Ravi Shankar, rimettete l’alternative-country in soffitta e soprattutto lasciate perdere il jazz. Anche se incide per la Blue Note (quella del 2016), se convoca Wayne Shorter al sax e Lonnie Smith per cimentarsi con Peace di Horace Silver e African Flower di Duke Ellington (in quest’ultima, prudentemente, solo mugolando), anche se le atmosfere notturne di Day Breaks o quelle di un Joe Jackson d’antan di Flipside quasi convincono, lei è lì che vuol stare, nei vostri cuori e nei vostri ricordi più cari. E lo sa bene anche Manuel Agnelli che a X Factor si commuove per un clone che gli canta Don’t Know Why, dall’album di debutto di Norah (2002).
Day Breaks è la classica colonna sonora per “quelle serate”
Non c’è da vergognarsene: aggiungetela serenamente alla compilation che vi siete fatti per le serate più delicate, sì, quella con Calling You (da Bagdad Café) di Jevetta Steele e con Beautiful That Way di Noa (da La vita è bella). Nella vita ci sono momenti in cui si deve vivere come dentro a un film e non si può certo sbagliare la colonna sonora.
Ps: E non dimenticate di aggiungere un brano di Gilbert, please. Non ve ne pentirete.
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complimenti, bellissima recensione davvero! un po’ meno l’album 😉
Ringrazio a nome di Danilo Di Termini e aggiungo che, a mio parere, è stato persino troppo buono. Disco inutile