L’addio ai concerti di Paul Simon.

L’uscita di questo album di Paul Simon accompagna il suo tour finale, quello con cui esce dalle scene dei concerti dal vivo. Settantasei anni, una carriera che non ha bisogno di essere raccontata, una serie di dischi centellinati nel tempo e una voce – che Iddio la benedica! – che non sembra poi molto diversa da quella del primo disco.
In The Blue Light una raccolta di canzoni edite
Ma non siamo di fronte a titoli inediti, dato che Simon ha pensato di pescare fra le centinaia di canzoni da lui scritte, scegliendo quelle che – a suo dire – erano passate quasi inosservate, poco valutate dalla critica o dal pubblico. E infatti nessuna è di quelle che nomineresti se ti chiedessero di sparare dieci titoli di Paul Simon, né fra quelle che ti viene da suonare o da cantare se ripensi al suo passato. Pescano in un arco cronologico ampio. La più vecchia (One Man’s Ceiling Is Another Man’s Floor) è del 1973, la più nuova (Questions for the Angels) del 2011.
Paul Simon offre una rilettura pedissequa di se stesso
I temi che le canzoni sfiorano sono quelli a cui Simon ha sempre guardato: l’amore, la solitudine, l’intolleranza. E lo fa senza mai allontanarsi dalle versioni ufficiali dei brani, tanto che a volte ci si chiede perché li abbia riproposti.
Per dare vita a questo lavoro ha chiamato grandi nomi della musica. Bill Frisell alla chitarra, Wynton Marsalis alla tromba, Jack DeJohnette e Steve Gadd alla batteria, ma ci si chiede se ne valesse la pena. Il disco scivola leggero e si ascolta con piacere ma con un senso di amarognolo. Perché – forse sbagliando – di fronte a questi musicisti ci si pone sempre con un livello altissimo di attesa. Dato che Paul Simon non ha chiuso la sua carriera di compositore, speriamo che la prossima raccolta di inediti sappia regalare maggiori e più profonde emozioni.
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