I Ride ci riprovano con This Is Not A Safe Place.

Non è frequente il caso di una band che dopo pochi anni di attività (dal 1990 al 1996) si scioglie a causa delle divergenze tra i due principali “galli nel pollaio”, per riformarsi più di vent’anni dopo nella stessa formazione. E passati due anni dalla loro rentrée con Weather Diaries i Ride ci riprovano con questo This Is Not A Safe Place. Ammettiamo di non conoscere il disco precedente, quello del “ritorno”. Ma, a giudicare da questa successiva prova il tempo per loro sembra essersi fermato ai primi anni Novanta, anche se ovviamente attualizzati e parzialmente reinterpretati.
L’evoluzione dello shoegaze
I Ride si mostrano senz’altro ancora debitori delle loro origini “shoegaze”, però con tutta una serie di richiami più o meno espliciti a molte delle varie sfaccettature del brit pop. Per la verità, non solo brit. E non solo pop. Disco soprattutto “di chitarre”, di distorsori, riverberi, feedback e quindi quasi inevitabilmente percorso da suggestioni e influenze mutuate da molte delle varie tendenze che hanno attraversato la storia del rock dagli ultimi anni ’80 in poi, sia al di qua che aldilà dell’Atlantico.
Le canzoni di Ride – This Is Not A Safe Place
L’iniziale, e in pratica solo strumentale, R.I.D.E. strizza l’occhio al grunge, anche se circa dalla metà del pezzo una sorta di “coro muto” ne addolcisce l’effetto d’insieme. Future Love, la successiva Repetition e Clouds of Saint Marie hanno melodie e arrangiamenti strumentali e vocali tipicamente pop-rock che in qualche punto richiamano perfino i Byrds. Anche se in certi momenti l’ossessività delle percussioni e le accentuate distorsioni chitarristiche ci strappano via da quelle atmosfere. Eternal Recurrence è tutta giocata sul contrasto tra il pressoché costante “ronzio fuzz” delle chitarre in sottofondo e la dolcezza della melodia e della voce, interrotta ad intervalli abbastanza regolari da interventi improvvisi e “violenti” delle chitarre e della batteria.
Dial Up accentua ancora di più il registro della dolcezza – affidata com’è quasi essenzialmente alle chitarre acustiche, come del resto Shadows Behind The Sun – anche se viene introdotta e conclusa da effetti elettronici che richiamano una comunicazione “spaziale”. Kill Switch e Fifteen Minutes presentano una struttura, specialmente negli esordi, che ci richiama molto alcune cose dei loro compatrioti The Blue Aeroplanes – in particolare quelli di Beatsongs -, passate però attraverso una sorta di “filtro acido” che sembra dovere più di qualcosa anche a certo Paisley Undergroud, Dream Syndicate su tutti.
Un disco di sintesi
In sostanza, un disco dove i Ride sembrano aver voluto riassumere tutte le varie fasi della loro carriera, rimanendo contemporaneamente fedeli a tutte e senza nascondere influssi e prestiti assimilati negli anni. Niente di sconvolgentemente nuovo; comunque un disco che mostra un songwriting piacevole, ben suonato e arrangiato. Credo piacerà ai fans dei Ride e non dovrebbe dispiacere nemmeno a chi gli si accosta per la prima volta.
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