Il 2024 si apre con una bella sorpresa: SPRINTS – Letter to Self.
Gli SPRINTS battono la concorrenza e pubblicano il loro primo LP, Letter to Self, il 5 gennaio, ossia in un periodo nel quale ancora le uscite sono rarefatte per non dire nulle. Probabilmente è una buona idea per ricevere maggiore attenzione, ma ad ascoltare le esuberanti undici canzoni del disco, sembra che non stessero più nella pelle per la voglia di farle ascoltare. Forse qualcuno avrà sentito il loro EP del 2022, A Modern Job, che con cinque canzoni, inclusa la bella Delia Smith, era il disco più lungo fatto uscire finora. Negli ultimi tre anni, comunque, sono stati attivi con qualche singolo sempre per la Nice Swan Records, brava a intercettare nuovi talenti, che ora ha lasciato il posto alla City Slang. Sono un quartetto di Dublino, una scena evidentemente in grande fermento, e presentano una cantante, Karla Chubb, con una classica formazione chitarra-basso-batteria suonati rispettivamente da Colm O’Reilly, Sam McCann e Jack Callan. Insieme compongono le musiche, mentre i testi sono soltanto di Karla. L’ottima produzione è di Daniel Fox dei Gilla Band. Hanno già in corso un lungo tour fra Europa e USA che finora non tocca l’Italia, ma chissà.
Garage Punk from Dublin, Ireland
Sul loro sito si definiscono proprio così: “Garage Punk from Dublin, Ireland”, e non hanno certo torto. Se la scena dublinese è nota soprattutto per il post-punk, gli SPRINTS di Letter to Self rimandano più all’esordio dei concittadini Fontaines D.C., quello punk prima della svolta post. Il fatto che sia restato decisamente il mio preferito dei tre suggerisce che gli SPRINTS mi debbano piacere non poco, e infatti così è. Ci sono però differenze. Dogrel era un disco con un suono marcatamente UK, mentre gli SPRINTS pescano più da un concetto di punk internazionale: per esempio, dove Karla Chubb duetta brevemente con le voci maschili, gli X di Exene Cervenka non sono poi lontanissimi.
Quaranta minuti di furore
Dei quaranta minuti del disco, soltanto i quattro di Can’t Get Enough of It mi paiono in tono minore. Il resto di Letter to Self è letteralmente infuocato. Heavy, Shaking Their Hands, Shadow of a Doubt, Up and Comer (con un brevissimo a solo delizioso) non possono lasciare indifferenti per la carica energetica che possiedono e le costruzioni melodiche intelligenti.
Certo, con Letter to Self gli SPRINTS non inventano un suono nuovo. Suonano garage punk ma lo fanno iniettando in un genere che ha ormai decenni di vita alle spalle tutta la carica della gioventù e, a giudicare dai testi, un disagio sociale che sono perfettamente contemporanei: impoverimento, mancanza di alloggi, fine del welfare, femminismo. Forse se un genere non muore è perché, di generazione in generazione, riesce a dire qualcosa a chi lo sa far proprio come accade oggi con gli SPRINTS: comunque sia, Letter to Self è un esordio che lascia veramente il segno.
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