Non entra nelle classifiche di fine anno solo perché fuori tempo massimo: SZA – SOS.
Uscito lo scorso dicembre ormai troppo tardi per entrare nelle classifiche (tanti le scrivono ormai a novembre …), SOS segue CTRL del 2017 e come quello già si candida a disco di peso del 2023. È un deciso miglioramento, però, più solido e a tratti divertente. Pubblicato dalla Top Dawg Entertainment con RCA Records, vede a fianco di Solána Imani Rowe numerosi compositori, strumentisti e produttori e si avvale delle collaborazioni di Don Toliver, Phoebe Bridgers, Travis Scott e persino del defunto Ol’ Dirty Bastard. Successo assicurato e difatti con SOS, SZA, che in copertina vediamo seduta sul bordo di un trampolino in mezzo al mare (un rimando a una celebre foto della principessa Diana), è invece già in vetta alle classifiche. Metterlo insieme, però, non dev’essere stato indolore. Già nel 2019, giusti due anni dopo l’esordio, SZA parlava sui social del nuovo album; tuttavia, le etichette discografiche lo hanno messo in stand by, si può immaginare non felici delle prime registrazioni ascoltate. Poi è arrivato il covid e un’altra lunga attesa che ha condotto alla fine del 2022.
Un disco troppo lungo
L’album è stato preceduto da tre singoli, Good Days, I Hate U e Shirt, che già lasciavano intendere lo stile complessivo, ovvero un mix fra soul un po’ nostalgico e moderno r’n’b a tinte hip-hop. Non mancano le ballate ultra-pop, come Gone Girl, ma non sono le mie preferite, anzi appesantiscono un disco decisamente troppo lungo con i suoi 67 minuti. Molto meglio i momenti più upbeat. Fra le collaborazioni con Travis Scott, Low, ne rispecchia lo stile mentre l’altra, Open Arms, è nuovamente una ballata non male.
Le iniziali Kill Bill e SOS sono bei numeri soul dove l’interpretazione di SZA spicca per versatilità. Love Language non stupirebbe cantata da Beyoncé (ma non quella versione disco-house) però, nuovamente, SZA la inchioda perfettamente mostrando di essere ottima cantante. Piacevole ma niente di più la collaborazione con Phoebe Bridgers in Ghost of the Machine.
Come detto, SOS è lungo, troppo, come ormai capita di notare spesso. La convenienza dello streaming a scapito della compattezza del disco, ed è un vero peccato perché il talento di SZA è evidente ma non ben servito da queste scelte. Per fortuna in conclusione Good Days e Forgiveless (aperta dalla voce di Ol’ Dirty Bastard) non fanno dispiacere di aver pazientato.
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