The Jayhawks – XOXOSham – 2020

The Jayhawks: garanzia di qualità.

Sono sempre stati una band solida ed onesta i Jayhawks; hanno una grande sfortuna, quella di dover necessariamente scontare, poveri loro, l’eterno ed ingiusto confronto, con quello che a lungo andare si è trasformata in una vera propria maledizione per la band di Minneapolis, ovvero con Hollywood Town Hall, capolavoro assoluto  con il quale all’inizio degli anni ’90 stupirono il mondo con una personalissima miscela di americana, folk, country, rock e pop.

The Jayhawks – XOXO
Sham – 2020

Quell’album era il frutto di una di quelle combinazioni astrali che possono capitare una volta nella vita ed infatti la band non si è più ripetuta a quei livelli: era impossibile farlo ed è francamente anche ingiusto (oltre che sterile) continuare a chiederglielo. I nostri in realtà, dopo quel vero e proprio miracolo, hanno continuato a sfornare prove solide, fatte di buona se non ottima musica, con un impeccabile percorso artistico racchiuso in una decina di dischi tutti di qualità medio alta, nel solco della più profonda tradizione del country-rock made in Usa.

The Jayhawks – XOXO una prova corale: luci e ombre

Dei due leader, Mark Olson e Gary Louris, dopo varie vicissitudini, compreso un piccolo gioiello semiacustico di una decina di anni fa (Ready for the Flood), è rimasto ormai solo il secondo, accompagnato anche in questa ultima prova dal fido bassista Marc Perlman, da Karen Grotberg alla voce e tastiere e dal sofisticato drumming di Tim O’Reagan. Diversamente da quanto sino ad oggi offerto dalla band, in quest’ultima prova, Louris condivide l’onore e l’onere della scrittura e del  sound con gli altri, coinvolgendo in modo quasi paritario tutti i componenti del gruppo.

 

Il disco quindi risulta avere una portata più corale e nonostante questo il gusto complessivo è comunque solido e compatto, con un pugno di canzoni dove viene riproposto il classico suono della band, in una versione matura dell’alt-country delle origini, evidentemente molto più rock, ma con un suono sempre di grandissimo livello. Certo il livello di scrittura dei pezzi dei diversi membri della band non è altrettanto uniforme:  emerge in modo indiscutibile un notevolissimo scarto a livello di qualità di scrittura tra i pezzi proposti dal leader della band e quelli presentati dagli altri.

Grande musica con Gary Louris!

L’inizio del disco è folgorante, con una sequenza di tre branì da KO: l’apertura di This Forgotten Town, classicissima ballad con chitarre acustiche e elettriche in gran spolvero, slide in evidenza e un coro beatlesiano che ti si pianta immediatamente in testa; subito dopo, gli Stones apocrifi di Dogtown Days, con un riff nervoso e rumoroso, su un ritmo da treno in corsa; quindi Living in a Bubble, il punto probabilmente più alto del disco, delizioso pezzo dal sapore quasi vaudeville, con una melodia celestiale, scandita dal ritmo da saloon del pianoforte.

The Jayhawks ancora in forma su XOXO

Da qui in avanti il disco si accomoda uniformandosi forse un po’ troppo nel suono e nella scrittura, presentando comunque alcuni episodi che si distinguono  come il pop trasognato di Homecoming, il tirato rock da deserto un po’ pestone di Society Pages, il dolcissimo country-rock mischiato ai cori gospel di Bitter Pill, l’incalzante pop alla Steely Dan di Little Victories, o infine la delicata ballad acustica Looking Up Your Number.

 

Disco comunque di ottimo livello, anche se la disponibilità del leader a coinvolgere più del solito i suoi compari nella scrittura ha nuociuto al livello complessivo della stessa: non è un caso che in tutti i pezzi che si distinguono, come detto, c’è sempre lo zampino di Louris, mentre le prove lasciate alla sola scrittura degli altri membri del gruppo appaiono più ordinarie e colpiscono meno al cuore. Una prova comunque più che sufficiente:  c’è quindi da augurarsi per il futuro che Louris sia meno generoso e si riappropri del suo ruolo, forte dalla sua capacità di fare musica di altissimo livello.

The Jayhawks – XOXO
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Classe 1965, bolzanino di nascita, vive a Firenze dal 1985; è convinto che la migliore occupazione per l’uomo sia comprare ed ascoltare dischi; ritiene che Rolling Stones, Frank Zappa, Steely Dan, Miles Davis, Charlie Mingus e Thelonious Monk siano comunque ragioni sufficienti per vivere.

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