The Libertines – All Quiet on the Eastern Esplanade

Il ritorno di Carl Barât e Pete Doherty: The Libertines – All Quiet on the Eastern Esplanade.

È uscito senza troppi clamori il nuovo album dei The Libertines: All Quiet on the Eastern Esplanade (Casablanca and Republic Records). Ricordiamo che agli inizi degli anni 00, il quartetto era sembrato per il Regno Unito ciò che gli Strokes erano per la East Coast statunitense, ossia un revival ben calibrato delle tradizioni garage-punk-rock locali pronto per il nuovo millennio. Nessuna delle due band ha mantenuto quanto prometteva, non per mancanza di canzoni, ma perché al di là di buoni dischi, non hanno assunto lo statuto di giganti del rock. I tempi sono cambiati, evidentemente.

In particolare, i The Libertines hanno sprecato la fama e le attese per i nuovi dischi con litigi e momenti di buio totale. Peraltro, almeno i due leader amici-nemici Carl Barât e Pete Doherty hanno dato vita a buone carriere da solisti e adesso, insieme ai sodali John Hassall e Gary Powell, hanno sentito la necessità di tornare a creare insieme. Per questa storia spesso interrotta, All Quiet on the Eastern Esplanade è soltanto il loro quarto disco insieme e i The Libertines l’hanno registrato  tra febbraio e marzo 2023 presso l’Albion Rooms di Margate, uno studio di loro proprietà, con il produttore Dimitri Tikovoï (Blondie, Placebo, Charli XCX, Marianne Faithfull, The Horrors nel suo curriculum). Sebbene Doherty e Barât abbiano sentito l’esigenza di comporre il disco insieme nel settembre 2022 in Giamaica, prima di riunirsi con Hassall e Powell, tutti e quattro condividono i crediti di scrittura delle canzoni su ogni traccia.

Merry Old England

Nostalgici di una vecchia Inghilterra forse più immaginaria che reale già agli esordi, i The Libertines del 2024 hanno ben motivo di continuare a esserlo, e All Quiet on the Eastern Esplanade ne rispecchia l’attitudine. Si apre con il singolo Run Run Run e le reminiscenze The Clash per loro consuete; detto questo, è un pezzo eccellente, trascinante e che non va oltre i tre minuti come ogni canzone punk che si rispetti.

La successiva Mustangs è il pezzo più americano registrato dalla band, qualcosa che non avrebbe stonato in un repertorio genericamente Lou Reed primi 70s. Altrove (I Have a Friend, Oh Shit) torna il combat rock, che però non è l’unica ispirazione. Be Young è un pezzo ska, Merry Old England una ballata su un paese che non esiste più ma continua a essere una meta sognata da quanti fuggono da guerre e povertà.

Soprattutto nella seconda metà mi pare che prevalgano le atmosfere sonore più acustiche che sia Carl Barât sia Pete Doherty hanno spesso creato nelle loro prove da solisti. Night of the Hunter (titolo di un classico del cinema B/N americano) riprende alcune note del Lago dei Cigni di Tchaikovsky passata attraverso la Swan Lake dei Madness, e non può che essere un altro richiamo nostalgico. Menzione speciale per altre due ballate, ossia Baron’s Claw e la conclusiva Songs They Never Play on the Radio.

All Quiet on the Eastern Esplanade non propone nulla di nuovo, ma questo era vero già per gli acclamati The Libertines di vent’anni fa. Racchiude però una quarantina di minuti di ottima musica, che non mancherà di piacere ai nostalgici di suoni e atmosfere ‘Londra 1980’, fra i quali ci sono anche io.

The Libertines – All Quiet on the Eastern Esplanade
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Mi piace la musica senza confini di genere e ha sempre fatto parte della mia vita. La foto del profilo dice da dove sono partita e le origini non si dimenticano; oggi ascolto molto hip-hop e sono curiosa verso tutte le nuove tendenze. Condividere gli ascolti con gli altri è fondamentale: per questo ho fondato TomTomRock.

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