Black Album dei Metallica

Quattro ore di cover: The Metallica Blacklist.

The Metallica Blacklist è una follia dell’era digitale, sebbene sia uscita anche in cofanetto ‘fisico’: quattro dischi di cover, e talvolta remix, del Black Album dei Metallica che nel 2021 compie trent’anni.

The Metallica Blacklist
Polydor – 2021

Trent’anni portati benissimo: e dire che nel 1991 il disco mi aveva lasciato perplessa. Tanto avevo amato il thrash metal dei Metallica anni ’80, tanto questo disco ricco di ballate, meno veloce e meno violento dei precedenti, inizialmente mi era parso anche meno ispirato. Avevano ragione i Metallica però, e riascoltarlo adesso continua a essere un piacere. Evidentemente non solo mio però, se tanti si sono prodotti in cover che spaziano fra approcci e generi differenti, com’è immaginabile anche con risultati estremamente alterni. Per questo facevo riferimento al digitale, che meglio consente di distillare ciò che piace e lasciar perdere il resto, dal momento che difficilmente qualcuno ascolterà le quattro ore complessive del box set.

Si parte con Enter Sandman

Prendiamo Enter Sandman, forse il momento più celebre del disco, qui presente in sei versioni che spesso seguono pedissequamente l’originale. Ci sono Mac DeMarco, che la esegue con il solito scazzo che applica anche alla sua produzione. Più convincente allora il pop-metal di Rina Sawayama. Si fa meglio con le sette versioni di Sad But True, più varie, dal country di Jason Isbell, al pop robotico di St Vincent. Ci sono anche i Royal Blood che sfruttano la loro vena più hard rock con risultati comunque inferiori all’originale.

 

Holier Than Tou è presente in cinque versioni. A quella dei Biffy Clayro preferisco le interpretazioni punk di The Chats e soprattutto dei PUP. L’epica ballata The Unforgiven è rivista con maggiore fantasia di quanto ascoltato finora. Bravi i Flatbush Zombies, ma una menzione particolare va a Moses Sumney e ai suoi vocalizzi jazz che la rendono totalmente diversa dall’originale: resta la melodia perfetta e il testo, incentrato sulla spersonalizzazione indotta dal conformismo, che evidentemente il cantante afroamericano sa fare suo. Momento perfetto.

 

Whenever I May Roam è in un certo senso intoccabile: inno supremo all’irrequietezza e all’erranza (“And the road becomes my bride …”, che apertura da brivido). Qui la ritroviamo in vari remix, niente male quello indiavolato dei Neptunes. Belle e diverse le due versioni di Through the Never, con la prima affidata ai tostissimi mongoli e la sorprendente Tomi Owó che ne dà una interpretazione r’n’b.

Nothing Else Matters in dodici versioni

Nothing Else Matters, altro momento chiave del disco, è presente in ben dodici versioni. Brava Phoebe Bridgers, meno Dave Gahan che suona piuttosto piatto. C’è la versione con Elton John al piano e Miley Cyrus, però la mia preferita è quella dei My Morning Jacket, che riescono a farla loro. Hanno meno spazio Of Wolf and Man, The God That Failed (per la quale si segnalano gli IDLES), My Friend of Misery (una versione con il sax di Kamasi Washington) e The Struggle Within, eseguita in un’unica resa da Rodrigo y Gabriela.

Il giudizio

Più del voto finale, che evidentemente non è al Black Album, ma a un progetto che per sua natura deve mediare fra alti e bassi, conta segnalare come anche le interpretazioni più strampalate finiscano per mostrare la capacità compositiva dei Metallica come band e il talento di James Hetfield in particolare, a mio parere non abbastanza celebrato al di fuori della cerchia (peraltro smisurata) dei fans e del metal.

The Metallica Blacklist
7,5 Voto Redattore
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Mi piace la musica senza confini di genere e ha sempre fatto parte della mia vita. La foto del profilo dice da dove sono partita e le origini non si dimenticano; oggi ascolto molto hip-hop e sono curiosa verso tutte le nuove tendenze. Condividere gli ascolti con gli altri è fondamentale: per questo ho fondato TomTomRock.

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