Oltre 40 anni di carriera e i Pretenders emozionano ancora con Relentless.
Innovazione nella tradizione. Questo slogan, ripetuto come un mantra e fin troppo abusato qualche anno fa per descrivere l’operato di una nuova generazione di chef disintossicatisi dalla sbornia della cosiddetta nouvelle cuisine e votati ad una originale rivisitazione del patrimonio gastronomico nazionale, può essere adottato, a nostro parere, anche per introdurre l’ultimo disco dei Pretenders.
Relentless (Parlophone) è il loro dodicesimo album in studio, numero tutt’altro che eccessivo per una band attiva da oltre quarant’anni: e infatti la media degli anni trascorsi fra un disco e l’altro è superiore a tre, con due intervalli ben più lunghi tra il 2002 e il 2008 e tra quest’ultimo e il 2016. Il titolo precedente a quello appena uscito, Hate For Sale, risale a inizio 2020. Anche se della formazione originaria sono rimasti solo la leader Chrissie Hynde e il batterista Martin Chambers – anche lui peraltro con una interruzione dal 1986 al 1994 – la band ha fondamentalmente sempre conservato quella cifra stilistica che la rende facilmente riconoscibile e la assimila – a dispetto della provenienza britannica di molti dei suoi componenti presenti e passati – a quella scena rock americana che ha avuto in Tom Petty forse il suo massimo rappresentante.
Le canzoni di Relentless
Nei dodici brani di questa loro ultima fatica discografica vi sono però non trascurabili elementi di relativa novità. Losing My Sense Of Taste è un pezzo in puro “Pretenders style”, con martellante batteria e un crescendo di chitarre distorte, in cui però la voce di Chrissie aggiunge una nota di inquietudine, che sparisce nella successiva A Love per fare nuovamente capolino in Domestic Silence, evidenziata anche da un accompagnamento di lancinanti chitarre elettriche.
L’atmosfera si addolcisce molto in The Copa, per merito di una chitarra “pulitissima” e di una voce che assume toni e modulazioni che a volte ricordano perfino Joni Mitchell. La dolcezza continua nella successiva The Promise Of Love, introdotta da un delizioso “stacchetto” di piano dal sapore vagamente jazzistico. L’inquietudine ritorna con Merry Widow, veicolata da una chitarra “implacabile” (relentless, come il titolo del disco) soprattutto nel lungo assolo finale, e dalla voce di Chrissie, capace di acquisire toni più profondi, non troppo dissimili da quelli di una Marianne Faithfull.
Let The Sun Come In ci riporta di nuovo ai Pretenders più classici, con un tipico riff iniziale che ritorna poi come leit motiv e la voce che diviene squillante. Con Look Away si torna alla tenerezza della ballata, e non a caso la chitarra da elettrica si fa acustica e sostanzialmente priva di effetti, mentre l’uso dei piatti dà alla scansione del tempo un effetto di solennità. Più o meno la stessa atmosfera si respira nelle successive This House Is On Fire e Just Let It Go, anche se in quest’ultima il refrain e la chitarra elettrica tornano a restituire un elemento di maggiore drammaticità.
Torna prepotentemente il rock alla Pretenders in Vainglorious, pezzo adrenalinico nel quale le colonne portanti del sound della band – la voce e la chitarra ritmica della leader, la batteria di Martin Chambers e la chitarra solista di James Walbourne – si prendono prepotentemente la scena. Chiude il disco I Think About You Daily, tenerissima love song nella quale la voce di Chrissie – alla quale il trascorrere degli anni, lungi dal togliere qualcosa, ha semmai aggiunto duttilità e “profondità” – rifulge in tutte le sue capacità interpretative.
Il bell’invecchiare dei Pretenders
Un bel disco Relentless, che ci restituisce una band ancora in gran forma e capace di rinnovarsi rimanendo contemporaneamente fedele a se stessa. Se dovessimo fare i nomi di almeno un paio di brani – a nostro avviso i migliori del disco – capaci di esemplificare pienamente il concetto espresso all’inizio di queste righe sceglieremmo Merry Widow e Vainglorious.
Be the first to leave a review.