Recensione: The Rolling Stones – El Mocambo 1977

Un live tutto da raccontare: The Rolling Stones – El Mocambo 1977

Premessa: nel trattare The Rolling Stones – El Mocambo 1977 ci siamo imposti di cercare di limitare la narrazione delle vicende che hanno portato alla sua realizzazione, per una evidente necessità di sintesi; però credeteci, sappiamo già che sarà una fatica immane perché la storia del concerto segreto dei Rolling Stones al locale El Mocambo di Toronto il 4 e 5 marzo del 1977 è veramente larger than life. Come lo sono sempre stati tutti i 60 anni di carriera dei Rolling Stones.

One night in Toronto

Allora, provate solo ad immaginarlo: è fine febbraio del 1977, siete un giovane di Toronto e state ascoltando Chum FM, la vostra radio preferita. Vi piace la musica rock, seguite i gruppi, comprate i dischi. Sentite il dj che annuncia la possibilità di vincere un biglietto per vedere i prossimi 4 e 5 di marzo gli April Wine (una onesta e robusta band canadese di hard rock fm, di discreto successo e con già una pugno di dischi alle spalle, molto conosciuta soprattutto in patria), che suoneranno, con uno sconosciuto gruppo di spalla, i Cockroaches a El Mocambo. El Mocambo è un piccolo club della gelida città canadese dall’improbabile nome caraibico, dove più di trecento anime strette attorno al minuscolo palco proprio non ci stanno…. massì, telefonate e, miracolo! rispondono e vi assicurate uno dei trecento biglietti.

Largo agli April Wine!

La sera del concerto vi presentate al club per tempo, il locale sarà ovviamente pieno e prima vi sentirete questi Cockroaches che apriranno il concerto; mai sentiti nominare, ma siete curiosi come è giusto che ogni giovane sia e ve li vedrete. Si avvicina l’ora del concerto, ma invece dell’annunciato gruppo spalla, aprono proprio gli April Wine che sciorinano per un’ora e mezzo il loro robusto rock, poco fantasioso di sicuro, ma comunque piacevole. Poi il concerto è gratis e hai l’occasione di vederli da vicino, quindi tutto bene.

I Cockroaches: vederli o no?

Finito il concerto degli headliners della serata, si aspettano i Cockroaches, tu sei curioso, l’abbiamo visto, e li aspetti anche se non li conosci. Ma ci piace immaginare anche gente che, usciti di scena gli April Wine, abbia detto “ma chi se ne frega di questi Cockroaches, io andrei a bere qualcosa da qualche parte che qui fa caldo” … E se ne sia andata, uscendo da una delle sliding doors più micidiali della storia del rock.

Già perché dopo un po’ salgono sul palco ‘sti Cockroaches. Però aspetta, ehi ma questi cinque sembrano … non è possibile, ma cosa fanno? Hanno le chitarre, accordano gli strumenti, sono annunciati con un urlo rauco… “Please welcome, at El Mocambo, Toronto Canada….the Rolling Stooooooones!”. E a quel punto se non avete perso i sensi (lo dico perché a me sarebbe sicuramente successo) vi troverete testimoni di un evento epocale nella storia del rock, il secret gig più famoso di sempre; Rolling Stones at El Mocambo, anno di grazia 1977.

Gli Stones e le antenne puntate sul futuro

Per capire come è potuta accadere una cosa del genere bisogna fare un passo indietro. Perché, come detto, ogni vicenda che riguarda i Rolling Stones non è liquidabile alla leggera. Non basta un semplice “quella volta che gli Stones fecero un concerto a sorpresa in quel locale minuscolo in Canada”. Perché dietro, come detto c’è un mondo intero, un mondo fatto di passione, noia, droga, paura del futuro, amore, musica, sesso, redenzione e amicizia.

The Rolling Stones – El Mocambo

Gli Stones sono ormai una band dal successo planetario, sono passati nel giro di quindici anni dai piccoli locali londinesi alle arene più grandi del pianeta. I loro tour dei ‘70s sono leggendari, veri e propri spettacoli, con palchi enormi e effetti a sorpresa (luci, coriandoli, falli giganti… eh sì anche quello), toccano tutto il mondo con un successo sempre maggiore di fronte a sterminate folle adoranti.

Prima di El Mocambo: Rolling Stones in crisi?

Però c’è qualcosa che li inquieta, sentono che il loro suono e la loro musica per far fronte a questo sempre maggior successo (e per adeguarsi al gigantismo che giocoforza deve caratterizzare le loro esibizioni dal vivo in arene e stadi) si sono un po’ raffreddati e plastificati. Il tour Americano del 1975 e quello europeo del 1976, sono stati come sempre di enorme successo, ma le esibizioni, con l’apporto non secondario di Billy Preston e di Ollie Brown, hanno un po’ perso quella ruvidezza e quella spontaneità rabbiosa che li aveva sempre caratterizzati.

A risentirle oggi vengono comunque i brividi, però gli Stones, al di là della loro immagine di rocker impulsivi, sono sempre stati dei fottuti e implacabili perfezionisti. Oltretutto hanno sempre avuto un infallibile fiuto per l’aria che tira e capiscono subito che a metà anni 70 il rock ha perso un po’ la sua strada e i vecchi campioni del rock blues (gli Stones, ma anche ad esempio Led Zeppelin o The Who, per fare altri due nomi) si sono trovati stritolati in un meccanismo che li ha in parte sedati, mentre all’orizzonte stanno spuntando nuovi gruppi di giovani che vogliono riappropriarsi della selvaggia spontaneità della musica suonata nei garage o nei piccoli locali fumosi e definiscono in modo sprezzante i vecchi eroi invecchiati “dinosauri”. Insomma, come dicevano quei giovani impertinenti dei Clash, “No Elvis, no Beatles or Rolling Stones in 1977”.

Una vita faticosa, quella degli Stones

A questo si aggiungono le vicende personali dei membri della band che sembrano portare il gruppo verso il baratro del rock addomesticato e mainstream. Mick Jagger sempre più protagonista delle notti dorate del jet set. Keith Richards inghiottito in una tossicodipendenza sempre più distruttiva ed estenuante. Gli altri impelagati in una faticosissima vita di eccessi e tensioni. La formazione ha poi recentemente subito un importante cambiamento: quell’angelo con la chitarra che era Mick Taylor, stanco della vita da star e di essere tenuto in un ruolo marginale anche compositivamente, getta la spugna per andare a raccogliere da solista il riconoscimento che secondo lui merita. “Il successo di Mick Taylor? Io sto ancora aspettando”, chiosò, al solito caustico, Keef una decina di anni dopo…

Taylor viene sostituito in modo definitivo solo alla vigilia del tour americano del 1975 dall’ex Faces Ron Wood, meno dotato tecnicamente del fenomenale predecessore, ma con un cuore grande così pieno di rock ‘n’roll e con una personalità solare e positiva che si rivelerà decisiva quando, a metà anni ‘80, gli ego di Jagger e Richards si sarebbero scontrati in un conflitto astioso e risentito che parve destinato a uccidere la band.

Rolling Stones – El Mocambo

A ciò si aggiunga anche un generale clima di annebbiamento di pubblico e critica verso le ultime prove discografiche, It’s Only Rock ‘N Roll del 1974 e Black and Blue del 1976. Pare incredibile a riascoltare oggi quei due capolavori, ma questo la dice lunga sul livello qualitativo della musica rock di quegli anni.

The Rolling Stones – El Mocambo 1977: la necessità di tornare alle origini

In un simile scenario gli Stones, dovendo far uscire un album dal vivo che raccoglie il meglio dei tour in stadi e arene del biennio 75/76, decidono di suonare e registrare una esibizione in un piccolo club per dare un tocco diverso al progetto discografico. In tal modo sperano di ritrovare un po’ dell’energia degli esordi al Crawdaddy di Richmond, fuggendo lontano dalla “grotesque music, million dollar sad”, cantata alcuni anni prima e che ora rischia di affogarli.

Viene scelto quindi il piccolo locale El Mocambo di Toronto, in Canada perché negli States la tossicodipendenza di Richards innestava una serie di esigenze di rifornimento di materia prima troppo rischiose, mentre in Inghilterra non potevano ancora rimettere piede per le note vicende fiscali che li avevano portati al dorato esilio francese del 1972.

Tomtomrock

L’idea è quella di fingersi gruppo di spalla (con il nome di the Cockroaches, traduzione, gli scarafaggi…pure con il solito britannico sense of humor, benedetti ragazzi) di una band nota livello locale (gli April Wine), con i biglietti dati in regalo tramite una sorta di lotteria telefonica, con due esibizioni fissate per il 4 e per il 5 marzo. Il pubblico sarebbe stato solo di 300 persone, perché quella è la capienza massima del locale. Testimoni oculari che ci sono stati anni dopo in un dovuto e devoto pellegrinaggio ce lo descrivono come veramente minuscolo, con un palco che li innalza di poche decine di centimetri sulle teste del pubblico, che nelle prime file sarebbe stato praticamente a contatto con i membri della band.

L’inferno di Keith

Tutto bene quindi? Ovviamente no, perché sono gli Stones e, una volta avuta l’idea, poi il metterla in pratica si scontra con le mille vicissitudini quotidiane della band, che nel caso concreto significano, il 28 febbraio (tre giorni prima delle programmate esibizioni) l’arresto da parte della polizia canadese di Keith Richards per possesso di droga. Solo che stavolta la cosa non si risolverà come al solito con una giornata di fastidi e poi il rilascio, magari con una multa, più o meno salata. In questo caso la quantità di droga trovata (circa ventiquattro grammi di eroina e cinque di cocaina) è tale e tanta che per la legge canadese vale un’accusa di spaccio internazionale. Keef rischia da sette anni all’ergastolo di carcere; ovverosia, anche nella migliore dell’ipotesi, la fine della band e soprattutto la fine dell’uomo.

Questa vicenda si rivelerà in realtà la salvezza per Keith Richards che grazie anche ad un buon avvocato, riesce a farsi concedere un anno di prova per dimostrare di essere in grado di uscire della tossicodipendenza, cosa che farà effettivamente salvandosi probabilmente la vita e subendo alla fine solo un’ammenda e l’impegno a tenere un concerto gratuito per l’associazione dei non vedenti. Qui si potrebbe aprire un’ulteriore digressione per descrivere uno dei capitoli più struggenti nella incredibile vita del nostro, ma oggi lasciamo perdere.

Dopo El Mocambo, i Rolling Stones risorgono

Il lieto fine si sarebbe però visto solo un anno dopo. Lì per lì avevamo una band scossa, in crisi, con il chitarrista tossicodipendente che deve provare a suonare piegato dai conati di vomito. Con i membri dell’entourage che devono fare i salti mortali per procurarsi la droga per alleviare i dolori delle sempre più implacabili crisi di astinenza di Keef.

Manca altro? Sì, forse ricordare che durante il soggiorno a Toronto i nostri eroi fecero in tempo a trovarsi coinvolti in uno scandalo a base di sesso (poteva mancare?) e vita politica del paese, con Margaret Trudeau, bella e esuberante moglie del primo ministro canadese (e madre dell’attuale primo ministro, pensa te a volte la vita…) la quale in quei giorni alloggiava in una suite accanto a quelle dei musicisti e ne approfittò per approfondire la conoscenza di Ronnie e (pare) di Mick.

Ladies and gentlemen… the Rolling Stones!

Bene, ci siamo! In questo scenario i Rolling Stones salgono alla chetichella sul piccolo palco di El Mocambo verso le 23 di venerdì 4 marzo 1977. Potrebbe letteralmente succedere di tutto, nel bene e nel male. E succede meravigliosamente di tutto, con due show che da subito saranno pura leggenda ed a cui tutti i fans di tutto il mondo hanno sempre sognato di poter partecipare.

Tomtomrock

Il contenuto di queste esibizioni era già noto ai più incalliti fan attraverso diversi bootleg dalla resa sonora comunque accettabile. C’era poi stata la pubblicazione del doppio Love You Live che riportava le esibizioni nei tour Americano ed europeo del 75 e 76, la cui terza facciata riportava quattro pezzi registrati a El Mocambo. Si trattava di vecchi classici (Mannish Boy, Crackin’ Up, Little Red Rooster e Around and Around), una sorta di Bignami dell’educazione sentimentale del gruppo negli anni selvaggi e giovani degli esordi. E che, proprio come nelle intenzioni di Jagger e soci, dimostravano che la band era viva e vegeta e ancora in grado di graffiare. Lo confessiamo: per anni Love You Live l’abbiamo ascoltato solo aspettando di arrivare alla terza facciata.

Ora questa benedetta uscita ci regala il contenuto integrale di quelle torride serate, facendoci scendere le lacrime a immaginare di essere lì sudati e felici accanto al Mick più bello di sempre che ruggisce il suo blues come forse non farà mai più. O a Keith, che accantonati i dolori, spara al cielo i suoi riff micidiali. O con il giovane Ronnie, fenomenale a cesellare preziosi intarsi sul muro chitarristico dell’amico. Con il silenzioso Bill a pulsare con il suo basso solido e fantasioso (e a farci capire ancora una volta che razza di musicista ci siamo persi quando ha deciso di lasciare la band). E poi con Charlie (ciao Charlie!) a reggere, come ha sempre fatto, tutta la pericolosa baracca con il suo drumming strepitoso ed inesorabile.

Diciamocelo subito: il disco è meraviglioso. Punto

I pezzi sono ovviamente uno meglio dell’altro e la scaletta fa venire i brividi. Pezzi vecchi e nuovi, canzoni che nei futuri live saranno ripescate con il contagocce. E soprattutto i vecchi classici blues con i quali i cinque ragazzi tornano all’energia degli esordi, ma arricchita ora dall’esperienza maturata in tre lustri di faticosa, eccitante e meravigliosa carriera vissuta a cento all’ora.

La band viaggia compatta e solida, con un’anima vera e profondamente blues e tutti paiono divertirsi un mondo entusiasti del ritrovare la vecchia grinta. Con loro sul palco, come nei tour 75/76, Billy Preston, alle tastiere, Ollie Brown alle percussioni e il vecchio amico Ian “Mr. Boggie” Stewart al piano per dare, come agli esordi ,quel suono rotondo e dondolante che tanto abbiamo amato.

È veramente difficile scegliere tra le ventitré tracce di questo scrigno di meraviglie. Sicuramente due antichi classici. Una Route 66 da brividi e lacrime, Jagger che mostra e dimostra che una voce così non la sentiremo più, Keith e Ronnie con le chitarre a spingere inesorabili (e Woody con assolo di pura anima rock ‘n roll), il basso di Wyman a stendere un tappeto da brividi e la batteria di Charlie e spingere la macchina lungo la strada a tutta velocità. E una Worried Life Blues, dove si piange ancora ad ascoltare un Mick da conservare per l’eternità e le chitarre che si sfidano e si intrecciano in un blues ruvido e stradaiolo.

Poi ci sono i classici già pubblicati su Love You Live, ma anche se già conosciuti, riascoltare Around and Around ci fa ancora saltare sulla sedia. Mentre Crackin’ Up ti rapisce come sempre i piedi per portarti a ballare sulla spiaggia, mentre la Little Red Rooster è in realtà nuova perché è presa il 5 marzo, mentre su LYL c’era la versione del la sera precedente.

Oltre le cover

Ma anche il repertorio firmato Jagger-Richards è da brividi. Hand of Fate è strepitosa, asciutta e coinvolgente. Dance Little Sister con un tiro splendido (anche qui Charlie dimostra di che pasta è fatto) e potrebbe durare otto ore senza stancare mai. Let’s Spend The Night Togheter, dondolante e irresistibile, con Bill e Charlie che fanno cose da non credere alle proprie orecchie. Rip this Joint, lanciata ventre a terra a far vedere e sentire alle nuove generazioni che se c’è da suonare il rock, questi cinque ragazzi, checché ne pensassero i Clash (fan sfegatati, comunque), anche nel 1977 erano sempre la cosa migliore che ci fosse in giro.

E poi c’è una Brown Sugar che ci pare il picco del disco. Rivela tutta la sua anima rnr. Anche qui Charlie mette il carbone nella locomotiva e la lancia a mille all’ora. Jagger ringhia e trascina il pubblico, con le chitarre che si superano: bella così non pensiamo di averla mia sentita, una versione pazzesca, con gli urli dei musicisti a incitarsi l’un l’altro e a coinvolgere il pubblico.

C’è anche spazio per un titolo (all’epoca) inedito, la Worried About You, che avremmo scoperto solo anni dopo su Tattoo You e che qui vien presentata in tutta la sua meraviglia soul, con il falsetto di Jagger che si appoggia alle chitarre che suonano in modo divino, e la base ritmica profonda e quasi dance.

Dopo questo pezzo il concerto finisce e gli avventori di El Mocambo immaginiamo saranno usciti nella fredda notte di Toronto, storditi e felicemente consapevoli di aver assistito a qualcosa di epocale.

Quarantacinque di attesa finalmente ripagati

Noi ci dobbiamo accontentare di questo album, ma è un accontentarsi di gran lusso. Forse in alcuni episodi il missaggio sembra avere un suono troppo compatto e pieno, più da stadio, facendo perdere la dimensione del live nel club. Ma sono dettagli (i fans, si sa sono i peggiori nemici delle rockstar), per fortuna il resto del disco riporta per intero l’atmosfera rovente, elettrizzata ed elettrizzante dello scatenato show per pochi intimi.

E che questo show sia stato qualcosa di importante e decisivo anche per gli Stones stessi è dimostrato dal fatto che negli anni immediatamente successivi saranno in grado di regalarci i loro ultimi due veri capolavori, Some Girls del 1978 e Tattoo You del 1981. Da lì in poi sarà un eterno passare all’incasso in una doratissima pensione fatta di dischi più o meno prescindibili, tour immensi (con la parentesi dello Stripped Tour del 1995, assimilabile, anche se non uguale, all’esperienza di El Mocambo), grande professionalità in un repertorio ormai fissato, comunque con lampi di meraviglia a lasciare anche i fan più incalliti a chiedersi come sia possibile piangere ancora ad ascoltare questi anziani signori mentre scatenano il loro meraviglioso rnr in giro per il mondo.

Disco fantastico quindi. The Rolling Stones – El Mocambo corona un sogno che, a parte quei benedetti fortunati che avevano potuto essere lì di persona, ha accompagnato fino ad oggi la vita di moltissimi fans. E a ulteriore riprova che il mondo è sostanzialmente ingiusto, va ricordato che gli April Wine il loro live a El Mocambo lo fecero uscire nel 1977, tra l’altro con una delle copertine più brutte della storia. Per gli Stones abbiamo dovuto aspettare 45 anni. Oggi lo possiamo ascoltare ed è una gioia senza fine.

The Rolling Stones – El Mocambo
9,5 Voto Redattore
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Classe 1965, bolzanino di nascita, vive a Firenze dal 1985; è convinto che la migliore occupazione per l’uomo sia comprare ed ascoltare dischi; ritiene che Rolling Stones, Frank Zappa, Steely Dan, Miles Davis, Charlie Mingus e Thelonious Monk siano comunque ragioni sufficienti per vivere.

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