Parchman Prison Prayer partendo dal titolo.

Parchman è una parola che a noi italiani può dire poco, ma negli Stati Uniti evoca uno scenario a dir poco sinistro. È uno dei  più famigerati penitenziari del paese, costruito nel 1901 e da subito diventato luogo di sopraffazioni e violenze arbitrarie. Ospita il braccio della morte dello stato, al momento con 35 persone in attesa di iniezione letale. Recenti inchieste hanno dimostrato che l’orribile reputazione del penitenziario resta ben meritata: condizioni di detenzione inumane, misure sanitarie del tutto inadeguate, ”ordine’ interno  garantito più da gang di detenuti che dalle guardie carcerarie.

L’orrido epos di Parchman ha anche connessioni musicali. Nel 1947, vi si recò il musicologo Alan Lomax per registrare le voci dei galeotti, i loro canti di lavoro (forzato), i loro blues. i loro gospel, immortalati nei due volumi di Prison Songs – Historical Recordings drom Parchman Farm 1947-48. Vi fu ospite anche Bukka White che ne raccontò l’orrore in Parchman Farm Blues (poi ripresa da Mose Allison). Pubblicato dalla benemerita Glitterbeat, arriva ora Parchman Prison Prayer che è, come dice il titolo, una raccolta di canzoni-preghiere che salgono verso il cielo da quello che pare un inferno in terra (ma, dall’estate 2022, con l’aria condizionata…).

Parchman Prison Prayer partendo dal sottotitolo (e dalla copertina)

Il sottotitolo di questo disco è Some Mississippi Sunday Morning. E se, con enorme sforzo, dimentichiamo quanto sappiamo di Parchman, ci troviamo ad ascoltare un intenso, emozionante, sofferente, ma anche molto vitale servizio religioso comunitario della domenica mattina. E quelle ordinate casette bianche visibili nelle foto della confezione non paiono poi troppo diverse dalle tipiche chiese del Sud statunitense. Ci sono preghiere per sola voce, handclapping, armonizzazioni spontanee, frasi melodiche ripetute come mantra, accompagnamenti strumentali in classico stile southern e una potente esecuzione corale conclusiva.

I cantanti sono tutti di eccellente livello e quantomeno L. Stevenson e C.S. Deloch (non sono indicati i nomi di battesimo) potrebbero avere un’ottima carriera  artistica in ambito soul. Per non parlare della voce ‘diabolica’ di M. Palmer, roba da far sembrare Michael Gira degli Swans un chierichetto. Il più coinvolgente di tutti è però l’anonimo, per sua scelta, cantante e pianista di I Give Myself Away, So You Can Use Me, dolorosa dichiarazione di intenti associata a una pacata, quasi soave melodia. Dunque Parchman Prison Prayer è un ottimo prodotto musicale a prescindere da quanto detto prima riguardo al contesto e da quanto verrà aggiunto a breve.

 

Ian Brennan a Parchman

Ian Brennan è un pluripremiato e attivissimo produttore discografico che opera in un ambito definibile come world-music-in-situazioni-difficili. Già nel 2015 si occupò – insieme alla moglie italo-ruandese Marilena Umuhoza Delli – di registrare le voci dei prigionieri di un carcere di masssima sicurezza del Malawi. Per fare la stessa cosa a Parchman ha dovuto attendere tre anni; quando il permesso è arrivato, il preavviso sull’unica data disponibile è stato – con una certa carogneria da parte delle autorità del carcere, visto che Brennan vive a Venezia – di una sola settimana e senza autorizzazione a fotografare. Solo poche ore in una domenica mattina ha avuto a disposizione Brennan: “Ho messo insieme le poche apparecchiature che mi era consentito portare e pochi minuti dopo i saluti stavamo registrando. Queste sono voci finalmente senza catene, anche se solo per poche ore, voci che esprimono un anelito di libertà altrimenti negato o limitato”.

Considerando che le registrazioni hanno fatto sì che la musica unisse prigionieri bianchi e afroamericani e che tutti i proventi derivati dalla vendita del disco vanno all’organizzazione benefica Mississippi Department of Corrections Chaplain Services, il voto va oltre il dato strettamente musicale (peraltro notevolissimo, come detto). E ci siamo tenuti bassi.

Various Artists - Parchman Prison Prayer
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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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