The Endless Coloured Ways è un doppio cd/lp che rende omaggio a Nick Drake. Non è il primo (nel 1998 ce ne fu anche uno italiano, Five Leaves Theft,) ma è forse il meglio organizzato, Vi partecipano nomi del circuito indie di buona fama e di varia età, dai veterani David Gray, Ben Harper, Phil Selway (Radiohead) ai giovani Fontaines D.C., Let’s Eat Grandma, Katherine Priddy. Dunque un lavoro di un certo peso e da esaminare con cura.
Nick Drake per chi ancora non lo conoscesse
Nick Drake nasce il 19 giugno 1948 a Rangoon (oggi Yangon) da famiglia agiata e ‘artistica’. Il padre è stato inviato in Birmania dalla ditta di legnami per cui lavora, la madre suona il piano e compone canzoni. La coppia ha già una figlia, Gabrielle, nata nel 1944, che diventerà attrice.
Al ritorno in patria i Drake si trasferiscono nella tranquilla località di Tanworth-in –Arden, Warwickshire, non lontano da Birmingham. Il giovane Nick impara a suonare clarinetto e pianoforte per poi appassionarsi alla chitarra. I suoi ascolti musicali sono onnivori come è tipico della sua età e della sua epoca. A poco a poco si focalizzeranno sul folk di Bob Dylan, Donovan e Bert Jansch come attestano registrazioni domestiche destinate a vedere la luce anni dopo. Nel 1967 lo troviamo al Fitzwilliam College di Cambridge, ma ormai la musica lo attira più della letteratura inglese e Londra è un magnete fortissimo. Nel circuito folk della capitale si crea la nomea di personaggio affascinante ed elusivo. Le sue canzoni suonane arcane e misteriose quanto la voce e le accordature della chitarra.
Nel 1969 esordisce discograficamente per la prestigiosa e giovanilista Island con Five Leaves Left, arcano e pastorale. Nel 1970 segue Bryter Layter, dai suoni più urbani. Gli esiti commerciali sono irrilevanti, si affaccia il disagio psichico sotto forma di crescenti problemi di relazione. Nel 1972 Pink Moon viene inciso nel corso di una notte alla sola presenza del tecnico del suono John Wood: solo voce, chitarra e poche note di piano. Ancora una volta il pubblico non recepisce. Del 1974 sono le ultime spettrali registrazioni in studio, anche queste pubblicate anni dopo. Nick Drake muore il 25 novembre 1975 nella casa dei genitori. La causa viene inizialmente attribuita a un erroneo autodosaggio dell’antidepressivo Tryptizol, ma in tempi più recenti l’ipotesi del suicidio è la più accreditata.
La fortuna postuma
Per circa un decennio la figura e l’opera di Nick Drake restano patrimonio esclusivo di pochi – e gelosi – appassionati. Nel marzo 1985 a suscitare un primo revival è Life In A Northern Town. Si tratta del primo singolo dei Dream Academy e nel testo è ispirato proprio a Drake. Il pezzo arriva al n. 15 della classica britannica e al n. 7 negli Hot 100 di Billboard.
A dicembre 1999 accade l’imprevedibile. La title-track dell’album Pink Moon viene usata per sonorizzare uno spot pubblicitario della Volkswagen Cabrio per il mercato statunitense (tra l’altro molto alla Nick Drake come attitudine anticaciarona). A questo punto sono in moltissimi a scoprire l’esistenza e la musica tutti si accorgono del “misconosciuto e sfortunato cantautore inglese” e i suoi dischi, per la prima volta, si vendono copiosamente. Da allora quello di Nick Drake diventa un nome di grande culto (un ossimoro, volendo), che ispira sempre nuove generazioni di giovani artisti e che conosce frequenti riaccensioni di interesse. Lo dimostrano in questi ultimi mesi l’uscita della nuova biografia Nick Drake – The Life di Richard Morton Jack (esisteva già The Biography – Nick Drake di Patrick Humphries, datata 1997) e di questo The Endless Coloured Ways. Entrambe le pubblicazioni sono sotto l’egida di Gabrielle Drake che da tempo gestisce il retaggio artistico del fratello.
Il progetto The Endless Coloured Ways
L’album è suddiviso in due “stagioni” (secondo una logica che, a dire il vero, non è stata esplicitata), a loro volta articolate in due episodi ciascuna. I brani si succedono senza silenzi fra l’uno e l’altro per fornire “un’esperienza d’ascolto coesiva anziché una galleria di opere distinte” (Cally Callomon, nelle note del disco). L’altro scopo dichiarato è più impegnativo: “Abbiamo chiesto agli artisti intervenuti di ignorare le versioni originali e di considerare ogni canzone come una creazione propria”. L’idea è nobile oltreché motivata, forse, da una considerazione: le canzoni di Nick Drake sono per la maggior parte perfettamente – a volte soprannaturalmente, verrebbe da dire –compiute. Ogni elemento occupa il posto giusto, che si tratti di un’orchestra, di una viola, di un sassofono o di una chitarra. Insomma, affrontarle è un bell’impegno.
Le scelte dal corpus discografico di Nick Drake
Due pezzi sono di epoca precedente alle incisioni ufficiali, sei su dieci arrivano da Five Leaves Left, cinque su dieci da Bryter Layter, ben otto su dieci da Pink Moon (con una ripresa), due dalle sessions del 1974 (anche qui con una ripresa). Come si vede il canzoniere ‘classico’ è presente per oltre due terzi con due sole assenze importanti: Way To Blue e Things Behind The Sun. Del materiale giovanile sono presenti i la melodicamente già matura Time Of No Reply e il manifesto esistenzialista I Think They’re Leaving Me Behind. Il buio delle ultime registrazioni è raccontato dalla temibile Black Eyed Dog e dalla più speranzosa Voices. Insomma Nick Drake c’è (quasi) tutto.
Ognuno troverà i suoi preferiti e si possono giusto citare quelli che, obbedendo alla “mission” affidata loro, ci hanno messo qualcosa di particolare e godibile:, ad esempio i Fontaines D.C. di ‘Cello Song che sostituiscono un violoncello sommesso con una ritimica post-punk e la pronuncia di Cambridge con l’accentone irlandese. Sempre a proposito di accenti, suona ineccepibile ed ‘esotico’ l’inglese francesizzato il french touch di Camille in Hazey Jane II (ricordiamoci che la giovane Françoise Hardy era un’ammiratrice di Drake). Bravi sono anche quelli che si affidano all’approccio l’approccio less is more affidandosi quasi solo alle voci: Wandering Hearts e Bombay Bicycle Club & The Staves.
Solo in due restano fedeli all’originale. Ben Harper fa un compitino senza sussulti in Time Has Told Me ed è il più deludente della compagnia. Anche John Grant si adegua alla struttura melodica di Day Is Done, ma mette un’elettronica quasi aliena al posto dell’orchestra e trasforma in puro dolore lo struggimento da giovinezza preoccupata dell’originale. È il momento più alto del lavoro.
Alla resa dei conti cosa pensare di The Endless Coloured Ways?
Detto tutto questo, si può infine far notare come il problema statutario di qualsiasi album-tributo risulti qui accentuato, soprattutto per una certa categoria di ascoltatori. Il fan antico, quello che a suo tempo faceva parte di una setta di pochi ma zelanti adepti, è legato in modo quasi morboso alle canzoni originali. Dopo l’iniziale turbamento (o fastidio) gli ci vorrà qualche tentativo per lasciarsi almeno un po’ andare. La cosa migliore in realtà sarebbe sentire il parere di quelli che Nick Drake ancora non lo conoscono o non se lo sono mai filato. C’è qualcuno disponibile?
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