Vera Sola, Peacemaker e l’arte del pop oscuro ma elegante.
La titolare di questo disco, che porta con disinvoltura il nome d’arte di Vera Sola (romani, abbiate pietà…) è figlia di Dan Aykroyd, attore e musicista, e Donna Dixon, attrice ed ex-modella. Naturale, quindi, che le sue frequentazioni siano state di alto livello. Una casa con buoni ascolti a disposizione, e tutto ciò che serve per progettare con cura una carriera (avendo le spalle ben coperte). Oltre all’innegabile bella presenza, Vera possiede comunque talento, come ha dimostrato già nell’esordio Shades, realizzato in completa solitudine e, in parte, con strumenti autocostruiti. Di certo un disco meno solido di quest’ultimo, ma già indicativo di una certa classe e della sua indipendenza artistica.
Come nasce Peacemaker
Dopo questo fortunato esito, la giovane cantautrice ha subito preparato le basi per Peacemaker (City Slang) che è in lavorazione dal 2019, e nasce con il patrocinio degli studios di Nashville. Dalle nobili sale d’incisione sono usciti dei buoni abbozzi, materiale che andava smussato e rifinito. Quindi, dopo abbondanti aggiunte di archi e strumenti vari, siamo in grado, adesso, di giudicarne il risultato.
Vera Sola sembra avere riferimenti chiari per il suo percorso artistico: un certo pop raffinato, cinematografico, tra Lana Del Rey e Angelo Badalamenti (Is That You?), più d’una eco del classico country di Patsy Cline (Waiting) e anche, in alcuni brani, arrangiamenti spigolosi e inaspettati, che discendono chiaramente dal Tom Waits degli anni ‘90, quello con Marc Ribot alla chitarra (Get Wise, The Line). La voce sensuale aiuta a valorizzare le canzoni, che sfuggono un po’ in originalità, ma possiedono altre buone caratteristiche. I testi non sono banali, anche se un poco oscuri, e la confezione è perfetta, cosmetica e luccicante.
I figli d’arte spesso sono snobbati (per questo va perdonato lo pseudonimo), ma stavolta si può dire che la missione è riuscita, ed è già il secondo centro…
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