Rat Saw Good dei Wednesday è musica southern a suo modo estrema.
Per molti, incluso chi scrive, Rat Saw God – pubblicato da Dead Oceans – rappresenta il primo approccio ai Wednesday, in realtà giunti al terzo album (e c’è anche un ep di canzoni altrui).
Circolavano già da qualche tempo voci molto positive a proposito del quintetto di Asheville, North Carolina, e del loro suono shoegaze ‘americanizzato’ e ‘southernizzato’. Date le premesse, l’apertura di programma è sviante: sia nell’iniziale, brevissima Hot Rotten Grass Smell, sia nella successiva e ben più estesa Bull Believer ci sono distorsioni, bordate chitarristiche impietose, cambi di passo e una voce femminile, nevrotica, sofferente e che non smette mai di cantare. Se qualche nome viene in mente si tratta di Pixies e Breeders e tutto un certo suono nervoso anni ’80-’90 (grunge incluso), non i suadenti Sundays che pure tanto piacciono ai nostri (sarà il giorno della settimana nel nome?)
Il mélange sonico dei Wednesday
Se fin qui ci si turba un po’ per l’effetto citazionista-segno-di-tempi-poco-creativi, ma si apprezza l’energia profusa, le cose si fanno intriganti un paio di canzoni più avanti, quando entra in scena la pedal steel, il suono prende una connotazione country-southern un po’ stralunata (i Drive-By Truckers della Georgia sono una fonte d’ispirazione) e l’andatura procede più regolare, ma sempre con una bella tensione interna. Ancora oltre le chitarre lavorano in cerchi concentrici e finalmente si comprendono i riferimenti allo shoegaze più classico. In realtà la cosa che davvero affascina, a prescindere dai suoni più o meno tirati, è il bilanciamento di emozioni: c’è sentimento nel delirio, c’è tensione nella quiete.
I testi di Rat Saw God
Quanto ai testi – elemento fondamentale del progetto Wednesday – siamo invece in una dimensione più unilateralmente fosca. In Karly Hartzman, frontwoman del gruppo, sembra rivivere lo spirito di un’altra figlia del Sud, Flannery O’Connor. Entrambe molto legate al luogo d’origine, entrambe molto gotiche nelle proprie narrazioni. Ma se i racconti e i romanzi della grande scrittrice vivono di situazioni che si fanno lentamente-inesorabilmente prima plumbee e poi fatali, le canzoni di Hartzman vanno subito al dissipato qui e ora e sono vissute senza quasi distacco, a un centimetro dal disastro o nel bel mezzo del degrado. Potremmo definirla una Flannery O’Connor punk. Ecco un paio di esempi:
Il cartello stradale è caduto/ Abbiamo superato la città, una credenza a bordo strada/ L’abbiamo presa/ Un’altalena in un cazzo di campo/ Guardiamo il mostro che falcia l’erba alta/ Tagliandola rasoterra (TV in the Gas Pump).
Quando ero a casa dei miei ogni sera bevevo fino a vomitare/ Tutti i miei amici prendevano Benadryl/ Finché non vedevano roba senza senso strisciare sulle pareti/ Una di quelle volte un mio amico ne ha preso troppo/ Ha dovuto farsi svuotare lo stomaco/ Lo hanno portato in ospedale/ E ci hanno detto che aveva avuto fortuna a essere ancora vivo (Chosen to Deserve)
Quale futuro per i Wednesday?
Dunque si è parlato di grunge, di rock sudista, di country, di shoegaze, di punk. E potremmo aggiungere i soliti indie a alt-qualcosa. Tanti ambienti sonici che i Wednesday di Rat Saw God frequentano a modo loro, un po’ da imbucati, salvo poi abbandonarli appena si annoiano come ogni giovinastro che si rispetti (che poi giovinastri con la languida pedal steel se n’è sempre visti pochi). Sembra facile a dirlo e di solito i risultati sono confusi; invece i Wednesday riescono già piuttosto bene a farlo e danno l’idea di poter anche migliorare. Il loro futuro è fosco e radioso.
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