Willard Grant Conspiracy: Untethered.
“Take the last train from the station / And keep my eyes open while I can / I hope we get back home by morning / See the sunrise on the desert once again”. Invece non ci saranno altri treni, né altre albe nell’amato deserto per Robert Fisher. Il cancro ha vinto e lo ha strappato alla vita e alla musica il 12 febbraio del 2017. Quelli citati sono versi della canzone che Fisher ha scritto subito dopo aver saputo dell’infausta diagnosi clinica. Untethered lo possiamo tradurre sia come ridotto a pezzi che come bloccato, fermato.
Alludendo appunto alle conseguenze che la malattia ha provocato. Non a caso Untethered è anche il titolo, fortemente voluto dall’autore, dell’intero disco, che come sempre esce a nome della Willard Grant Conspiracy, l’ensemble di musicisti che volta a volta si sono alternati ad accompagnare Robert Fisher. Fra questi David Michael Curry che ha curato l’edizione di Untethered.
Il dramma di Robert Fisher
Su tutto il disco, scritto in buona parte e suonato dopo che gli era stata comunicata la diagnosi, aleggia il fantasma della fine che allunga le sue ali su un paesaggio sempre più scuro e tenebroso. Ma Fisher sa maneggiare con grazia e maestria una materia tanto scivolosa come la morte, non cade mai nel patetico o nel morboso, riesce a leggere il suo dramma individuale e farlo diventare un messaggio universale, in grado di parlare al cuore e all’animo di tutti quelli che si accostano alla sua musica. Ed è proprio la sua musica, magnifica, straordinaria, sincera e commovente come solo i grandissimi sanno fare, che rende questa opera mesta e personalissima il miglior lascito che l’artista potesse regalarci.
Robert Fisher e Willard Grant Conspiracy
Pochi i paragoni possibili, ma non può non venire in mente Vic Chesnutt. In quest’ultimo tuttavia il senso di morte è dato dall’impossibilità di vivere una vita diventata sinonimo di sofferenza. In Fisher invece la morte significa dare l’addio a ciò per cui vale la pena vivere: la musica, la California, gli amici, il deserto (“Un posto per i dimenticati e per quelli che il resto della città vuole dimenticare”), la malinconia stessa, tema quest’ultimo che il musicista ha sempre trattato con una delicatezza e una sensibilità davvero rare.
Perché Fisher possiede le doti del grande narratore, paziente e coinvolgente, arguto osservatore e creatore di immagini e metafore di grande potenza evocativa, capace di creare e provare empatia con gli altri, aiutato da una voce dal fascino irresistibile, una voce calda e baritonale, che dà un’impressione al contempo di forza e fragilità, ideale per cantare storie di sconfitti ed emarginati, di grandi spazi, viaggi, solitudini, amori, amicizie, fede, numerosi nei suoi dischi i richiami biblici.
Le canzoni di Untethered
Adesso non resta che parlare delle quattordici canzoni di Untethered. Ebbene l’inizio è alquanto spiazzante, tipico del senso dell’umorismo proprio di Fisher. Un brano di appena due minuti, Hideous Beast (L’orribile bestia) che potrebbe essere uscito dal cappello del Captain Beefheart più distorto e rabbioso. Ma poi si rientra nel solco della precedente produzione WGC. Ampie ballate dal sapore alt country che si portano dietro la grande tradizione delle radici della musica americana, da Johnny Cash ai Walkabouts a Steve Wynn.
Canzoni che sono come sussurrate, carezzano le nostre orecchie col suono dolente e ricco di sentimento degli archi. Con le chitarre, oltre a quella di Jason Victor anche quelle di Chris Brokaw e Steve Wynn, che a volte sembrano contorcersi addolorate nelle loro distorsioni. Esemplari nel magnifico strumentale Trail’s End che chiude l’album e purtroppo anche la carriera di uno degli artisti più veri e geniali apparsi sulle scene musicali degli ultimi decenni.
Be the first to leave a review.