saez miami

saez miami

di Antonio Vivaldi

A dispetto del faccino carino e dell’aria a modo, Damien Saez è artista esagerato e provocatore. Esagerato nella produzione discografica (cinque album negli ultimi sei anni non fanno strano, ma due sono tripli), nella quantità di parole compresse all’interno dei testi, nei sentimenti debordanti che tali parole veicolano. Il Saez provocatore è quello che sfoga la sua rabbia contro l’intero universo femminile nella politicamente scorrettissima  Putains Vous M’Aurez Plus, ma anche quello che mette sulla copertina dell’album J’Accuse (2010) una donna nuda in un carrello di supermercato, semplice metafora della mercificazione del corpo femminile che tuttavia gli crea qualche fastidio con la censura.  Il problema si ripropone ora con la copertina del nuovo album Miami, dove una “Holy Bible”  aperta copre un sedere femminile: la RATP (la società dei trasporti nell’Ile de France) ha già rifiutato di affiggere nelle sue stazioni i manifesti pubblicitari che la riproducono e, a sua volta,  Saez ha rifiutato di renderli più innocui. In generale si può dire che il mondo muliebre è croce e delizia (per la precisione prima delizia e poi croce) del musicista francese, così come le questioni sociali gli smuovono sovente possenti invettive di matrice gauchiste.

A dimostrazione della bulimia discografica di cui si diceva, Miami arriva sei mesi dopo il triplo Messina e rispetto a questo rappresenta un netto cambiamento. Messi da parte i toni dolenti di pezzi peraltro splendidi come Messine e Chatillon-Sur-Seine  (le città sono un’altra ossessione), qui Saez parte  con il fuoco di fila verbale rap-folk di Pour Y Voir; a metà brano entrano in scena chitarra elettrica, basso e batteria e si continua con modalità vibranti  fino alla furente/dolente title-track in chiave quasi funk. Si tratta di un disco più legato all’impatto dell’emozione che alla strutturazione della scrittura come dimostrano anche Cadillac Noire, costruita su un riff hendrixiano,  e Rottweiler, con il suo paio di accordi ripetuti ossessivamente. Si ha l’impressione di ascoltare  un insopprimibile sfogo, un grido di rabbia di fronte all’evidenza di una nuova forma di orrore: Miami assurge infatti a paradigma del mondo attuale in cui anche “la luce del sole è in vendita” e un potere finanziario sfacciato macina a proprio vantaggio droga, religione, sesso, fascismo e altrui indigenza millantando il tutto come ‘crisi’. Il risultato è di grande intensità e l’effetto quasi ‘live’ che la produzione ha dato ai suoni contribuisce al senso di urgenza delle melodie. 

I Noir Désir non torneranno e, per forza di cose, Bertrand Cantat non potrà più essere il faro artistico e socialmente conscio del rock francese. Oggi questo ruolo ce l’ha Damien Saez e, innamoramenti disastrosi a parte (o forse inclusi),  lo interpreta piuttosto bene. 

7,8/10

 

httpv://www.youtube.com/watch?v=3JAQHbEHCw8

Saez – Miami

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Di tomtomrock

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