di Antonio Vivaldi
Un opossum moribondo nel giardino di casa, un concerto spaccaorecchie dei Godflesh, una telefonata di Paolo Sorrentino, il ricordo di Roberto ‘Mani di Pietra’ Duran, una dichiarazione d’amore per Caroline e anche per il povero opossum che muore amato da qualcuno, le campane che suonano e la consapevolezza che la vita nonostante tutto è una bella cosa anche se poi finisce.
E questa è solo la prima canzone del nuovo disco di Mark Kozelek come Sun Kil Moon. Quasi nove minuti parecchio impegnativi, anche perché il nostro snocciola i suoi chili di parole a una velocità da far invidia a Joey Badass e per seguirlo occorre tenere gli occhi incollati sul foglio con i testi. Quanto alla musica, o meglio all’accompagnamento musicale, la dimensione è quella litanico-incalzante del precedente album Benji con una serie di siparietti (il “laughing and laughing” a un certo punto ripetuto più volte) o di voci fluttuanti a rendere interessante anche il secondo ascolto, quello senza il testo davanti agli occhi. Gli altri pezzi funzionano più o meno allo stesso modo, a volte simili a racconti di Carver nei loro ritratti di umanità dolente, a volte flussi di coscienza che conducono a un qualche insegnamento morale. Ci sono moltissime citazioni legate al mondo della boxe, a quello del cinema (vince Sorrentino) e, ovviamente, a quello della musica (vincono i Led Zeppelin). Alcuni guizzi sono geniali; ad esempio, dopo la frase “Slowhand di Eric Clapton mi faceva venire un cazzo di mal di testa” partono due minuti di assolo volutamente ‘manolenta’ di chitarra elettrica. Ci sono passaggi elettrici (With A Sort Of Grace…) e altri vagamente trasognati (Birds Of Flims, ambientata sul set svizzero di Youth) e alla fine, se Kozelek piace almeno un po’ e se si sceglie di affrontare le singole canzoni come mondi in cui entrare, Universal Themes affascina ed emoziona (in questo senso, i paragoni più plausibili esulano dall’ambito rock o folk e vanno a toccare un disco di tutt’altra pasta sonora e tuttavia affine quanto a pluri-stratificazioni sonore e tematiche quale To Pimp A Butterfly di Kendrick Lamar). Per contro, se non si è dell’umore appropriato, possono risultare fastidiosi sia l’autobiogafismo a tratti claustrofobico, sia il continuo riferimento a sfighe e lutti, sia, infine, l’assenza di qualsivoglia canzone strutturata come tale (qui il confronto – perdente – è con l’asciuttezza del dolore scolpito da Peter Milton Walsh nelle ineccepibili melodie del recente No Song No Spell No Madrigal a nome Apartments).
Dunque con Kozelek è prendere o lasciare. O meglio: a volte prendere, altre volte lasciare.
7/10