di Raimondo Bignardi
Saudade è intraducibile con una parola, trattasi più di un concetto, uno stato d’animo: quando Jair da Costa, attaccante dell’Inter di Herrera negli anni ’60, usciva dal campo di allenamento di Appiano Gentile alle cinque di sera di un giorno nebbioso di gennaio, diretto verso gli spogliatoi infangato fino al pomo di Adamo, pensava per un attimo a casa, a Sao Paulo, ai parenti, agli amici, al sole, al mare, alla musica e gli veniva la saudade. Non so se mi sono spiegato (e non vale il contrario: un milanese sulla spiaggia di Copacabana che pensa alla sua casa alla Bovisa sorseggiando una caipirinha, non ha la saudade).
Se la saudade è quello che ho descritto, la Thievery Corporation non ha la saudade, né la disperata nostalgia di Jobim o Gilberto, né la triste felicità di Chico Buarque. Piuttosto sembra preoccuparsi di costruire una buona musica di sottofondo per l’apericena di stasera. I suoni e gli arrangiamenti sono al solito curatissimi, le voci delle cantanti perfette (fin troppo!), non traspare alcuna tensione. Il disco scorre via in un attimo. L’unico strumentale che lo divide in due parti è un omaggio (spero) a Orfeo Negro; le altre sono canzoni proposte in diverse lingue (tra cui l’italiano).
L’idea non è male, rimanda a Gainsbourg, a Portishead, a Piccioni, perfino a Morricone, testimoniando la commistione sempre più profonda tra le tante culture musicali ma il risultato è sempre superficiale, evocativo di un Brasile per turisti americani.
Sono lontani i tempi di Sounds From The Thievery Hi-Fi e sarebbe anche giusto, visto che sono passati quasi venti anni.
Forse il titolo dell’album trova qui il suo significato: la saudade che ti prende pensando a quanto era bello quel disco.
5/10
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Jair da Costa – Top 10