crime215
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di Antonio Vivaldi 

Un cd per il delitto, un cd per il castigo, 50 pezzi per descrivere l’irreparabile. L’ambito cronologico di quest’antologia spazia fra il 1925 e il 1960 e i suoni vedono prevalere il blues con accanto spiritual, folk bianco, jug e il  primo country. Il fascino del disco (assemblato da Kris Needs, ex direttore di ZigZag) sta nell’essere quasi sempre un racconto in prima persona: Murder’s Gonna Be My Crime, Your Funeral And My Trial, I’m Gonna Kill That Woman, I’m Gonna Murder My Baby. Quest’ultima è una canzone vera: otto anni dopo averla incisa, Frank Hare assassinò la sua baby e, dimentico della filologia testuale, anche un poliziotto (condannato all’ergastolo, morì in carcere nel 1980). In prima persona sono anche parecchi documenti del settore castigo: se le fedine penali di Lightnin’ Hopkins e Bukka White sono note, emozionante e stupefacente è  l’ergastolana Mattie May Thomas (registrata da Alan Lomax nel 1939) che descrive con modalità quasi surreali un comprensibile desiderio di fuga in Workhouse Blues.  Cantori del male da postazioni più rassicuranti sono i Louvin Brothers (Knoxville Girl) e i Crickets post-Buddy Holly (I Fought The Law), mentre quasi inutile è menzionare il transfer interpretativo di Billie Holiday in Strange Fruit. Quanto a Blind Willie McTell, la sua Dying Crapshooter’s Blues spiega che davvero, come diceva Bob Dylan, nessuno canta il blues come lui.

Alla fine sorge spontanea una domanda: ma perché queste canzoni così truci rappresentano  documenti di povertà e disagio (e chi sbagli merita comprensione), mentre i testi dei rapper, da Ice T a Tyler The Creator, sono solo ingiustificabili esempi di stupidità, sessismo e così via? 

7,5/10

 

 

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