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Marco Taddei, scrittore e sceneggiatore di fumetti, racconta la sua turbinosa passione per la musica

Marco Taddei

Marco Taddei, assieme al disegnatore Simone Angelini, ha firmato alcuni dei fumetti più coinvolgenti usciti negli ultimi tempi. Il botto i due lo hanno fatto nel 2015 con “Anubi” (Grrrz Comic Art Book, poi ristampato da Coconino Press), storia di un improbabile dio egizio trapiantato in una sonnacchiosa cittadina italiana, che passa le giornate in squallidi bar, attorniato da altrettanto squallidi personaggi.

Poi, a seguire, dopo “Malloy. Gabelliere spaziale”, un paio di spin-off di Anubi, vale a dire “Horus” e il più recente “Enrico”, storia disperatissima a base di droga e devastazione psicologica. Ma anche l’immenso “4 vecchi di merda”, dove Colt, anziano ex musicista punk rinchiuso volontariamente in un ospizio, vorrebbe rimettere insieme la band. Anche qui, personaggi tostissimi, squallore dilagante e tanto sarcasmo.

Al tratto crudo di Angelini, rispondono le sceneggiature di Taddei, con la capacità di creare un universo sempre sull’orlo dell’Apocalisse e poi, quando l’Apocalisse arriva, è come una liberazione. La presenza della musica nei loro fumetti è costante e rispecchia una passione che ho potuto riscontrare in Marco in una serie di chiacchierate che ci siamo fatti anche in occasione del coinvolgimento del duo nella mostra “Piero Ciampi a fumetti”, che ho organizzato a gennaio per il Premio Ciampi, dove lui e Angelini hanno reinterpretato a fumetti la canzone “Il merlo”. Mi sembrava carino approfondire con lui la questione anche qui, su Tomtomrock.

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Nelle tue sceneggiature è spesso presente la musica, ma in una dimensione molto punk e catartica.

Ascolto musica da quando le mie orecchie sono collegate scientemente al cervello. Ho passato tutti gli stadi, da BimboMix ai Nirvana, per poi dissolvermi nell’iperspazio musicale più profondo. Quando nei miei fumetti voglio far vedere i miei personaggi liberi da tutti i loro pesi e zavorre, trionfanti senza aver trionfato, ecco che li faccio esibire. Sono istanti di beffarda libertà, poi tutto torna nell’annientificio.

In particolare, i concerti che descrivi sono sempre performance disperate e senza compromessi.

La musica che mi piace di più è disperata, vedi Piero Ciampi, e senza compromessi.

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Anubi ed Enrico suonano in una improbabile formazione batteria-voce, mentre in “4 vecchi di merda” sembra di assistere a un live di GG Allin.

Eh sì, premetto che non sono un fissato di GG, in giro ci sono esperti che sanno tutto, date, dischi, aneddoti, ma le sue performance mi hanno fatto ammattire quando ero un pulcino. Per la formazione in cui suonano Anubi ed Enrico, che dire? Sono i Wolfango senza bassista.

La musica che ascolti è anche fonte di ispirazione per le tue storie?

Tutto quello che mi passa sotto il naso mi è di ispirazione. Penso davvero che non si possa sfuggire a questa croce e a questa delizia. Quindi, la musica finisce per migrare dentro i miei lavori essendo parte della mia vita. Oggi, sabato 21 marzo, mi sono messo 3 ore e 40 di concerti di Mozart. Sembrava di stare al manicomio, durante l’ora delle medicine. Che estasi. Ma oggi ho anche fatto il pollo con le patate, ed anche questo di sicuro sarà di ispirazione. E ho anche lavato i vetri, e son sicuro che il fatto di averlo fatto dopo tre anni mi sarà di ispirazione.

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Hai qualche esperienza come musicista?

Citofono a parte, direi di no.

Che musica ascolti nella tua cameretta?

Tanta, perché per fortuna la curiosità non mi manca e la musica è un universo che non si ferma mai. Ti risparmio l’elenco, ma scopro ancora oggi una marea di roba, gente tipo Filmmaker, Bob Log III, Ponytail, Machine Girl. E poi i recuperi: sto risentendo con grande gioia i Butthole Surfers, dischi come Locust Abortion Technician ti fanno passare una bella mezz’ora, soprattutto in questi giorni fantascientifici di quarantena globale.

Hai una storia di compratore di dischi? Ti mancano i negozi di dischi? Oppure sei stato un cassettaro e – oggi – scaricatore di mp3?

Niente vinili, non ho niente per sentirli. Quand’ero piccolo a quanto pare ho sfasciato un bel po’ di dischi di mio padre, il quale finì per tenere i superstiti sotto chiave e forse è per questo motivo che alla fine non mi hanno mai attirato più di tanto. Cassettaro a gogo e, poi, scaricatore di mp3, all’università ovviamente, dove potevi tenere la connessione accesa per tutto il giorno per scaricare in sei ore Spin The Black Circle dei Pearl Jam. Lunga vita a youtube, ultimamente trovo e scopro tutto lì. Spotity invece non lo uso perché non so craccarlo, ma mi pare di aver capito che non sia fornitissimo.

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Il primo disco che hai comprato e l’ultimo.

Ci sono due modi di comprare i dischi: andare ai concerti o andare nei negozi. L’ultimo disco che ho comprato d’impronta a un concerto è dei Paperoga e l’ho preso un po’ di mesi fa, a Natale. Non compro un disco andando VOLONTARIAMENTE al negozio da anni. Se non sbaglio l’ultima volta che l’ho fatto è stato per Abattoir Blues, il doppio di Nick Cave dei primi anni del 2000. Il primo disco che ho comprato ve lo risparmierei volentieri, perché dovrebbe essere Rattle & Hum degli U2, che in fondo non era nemmeno così male. Posso dirvi però che il primo cd che ho rubato era In Utero dei Nirvana.

Concerti: qualche esperienza indimenticabile?

Ah beh, una valanga… Prodigy (ho dimenticato tutto), Prozac + (uno dei loro primissimi, in un palazzetto nella “grande” città, a Pescara, io ero un microbo), John Zorn (a Roma, nella stessa sera concerto di Uri Caine), Nick Cave (in tutte le salse), Karlheinz Stockhausen (il suo ultimo concerto, lui era sul palco in un teatro e suonava seduto manovrando in su ed in giù un potenziometro, tutto attorno il big bang), Terry Riley (I survived In C, chi c’era può capirmi), i Blur alle Capannelle (una bolgia), i Dufus (in un piccolissimo teatro della mia città, da brividi). Ma mi manca ancora un marea di roba, se finirà mai questa quarantena vorrei per lo meno vedere i Lightning Bolt e i Flaming Lips. Sono un tipo dai gusti elementari, mi accontento di emozioni semplici.

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Avvocato e giornalista, marito devoto e padre esemplare, scrive di musica e fumetti sulle pagine de Il Tirreno e collabora/ha collaborato con numerose altre testate cartacee e non, oltre a non curare più un proprio blog. Fa parte della giuria del Premio Ciampi.

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