Canzoni in Movimento Tomtomrock

Altre 25 canzoni per tornare a muoversi, viaggiare o anche solo sognare di viaggiare.

L’Europa cerca di scrollarsi dai polmoni e dalla psiche il Covid-19. Nel vecchio continente si stanno riaprendo le frontiere, così come i cosiddetti luoghi di aggregazione. Speriamo che a breve si possa stare insieme anche a un concerto. Ecco, come ulteriore messaggio di buon auspicio, la seconda puntata dedicata alle canzoni in movimento.

Duke Ellington – Take The “A” Train

Una sigla iniziale perfetta per questa seconda parte di articolo. Fu a lungo il tema d’apertura nei concerti del Duca, mentre in Italia i più attempati la associano al programma televisivo Andiamo Al Cinema (quando i trailer erano ancora “i prossimamente”). Il pezzo – scritto da Billy Strayhorn e interpretato anche da Stan Kenton, Dave Brubeck e molti altri – ci consente di parlare di un mezzo di locomozione fin qui non ancora menzionato. Rende infatti omaggio a una delle linee della metropolitana di New York.

Ron – Una Città Per Cantare

L’originale è di Danny O’Keefe, anche se la versione più nota è quella di Jackson Browne. La traduzione italiana è opera di Lucio Dalla che la affidò alla voce di Ron (se ne parla in questo  articolo di Tomtomrock). Il pezzo è il nostro auspicio affinché spettacoli, concerti, tournée e città per cantare ricomincino presto a renderci più bella la vita.

Beach Boys – Surfin’ USA

Le spiagge sono affollate? Impossibile osservare la distanza sociale? E anche osservandola, un pallone vi arriva comunque sulla testa? I Beach Boys hanno la soluzione al problema. E se il surf risulta poco praticabile a Milano Marittima o a Spotorno, un pedalò può fungere da adeguato sostituto.

Bob Dylan – Highway 61 Revisited

Il mito dell’America “on the road”  come romantica ragion d’essere trova una lettura picaresco-visionaria nelle parole affastellate una sull’altra e nell’andatura un po’ psicotica del brano che intitola uno dei capolavori di Zimmy.

The Rolling Stones – (Get Your Kicks On) Route 66

La più classica delle strade statunitensi era la Route 66 che andava da Chicago a Santa Monica (e di cui adesso restano percorribili alcuni tratti in funzione di musei all’aperto). Il pezzo che la celebra fu scritto nel 1946 da Bobby Troup e interpretato anche  da Nat King Cole e Chuck Berry. La versione degli Stones esce nel 1964, in coincidenza con il primo assaggio d’America del quintetto. C’è insomma il fascino della scoperta di un mondo nuovo unito a una magnifica adrenalina giovanile.

Francesco Guccini – Talkin’ Milano

Mentre gli Stones vivevano in prima persona il mito della Route 66, Francesco Guccini doveva accontentarsi della via Emilia. Eccolo perciò dare un tocco d’America kerouakiana a un più modesto itinerario fra Bologna e Milano nei giorni del tardo boom economico. Sullo stesso tema Guccini avrebbe anche inciso un blues senza talkin’, Statale 17.

John Fogerty  – Rockin’ All Over The World

Il Covid-19 si è preso il mondo intero. Speriamo che a poco a poco il rock, pacificamente, lo riconquisti. Magari grazie alla musica. Rockin’ All Over The World ebbe notevole successo anche nella versione degli Status Quo.

Tim Buckley – Starsailor

Molti hanno cantato i viaggi spaziali, dai Byrds (Mr. Spaceman) ai Pearls Before Swine (Rocket Man) a Elton John (una più famosa Rocket Man). Ma solo Tim Buckley ha scelto di navigare e poi perdersi per sempre fra le stelle. In questo pezzo e anche nella sua vita, in un certo senso.

Pink Floyd – Cirrus Minor

Negli stessi iperspazi allucinatori di Starsailor aveva già viaggiato la celebre  Interstellar Overdrive dei Pink Floyd. Tuttavia dei Floyd ci piace qui ricordare un altro percorso fra mare e cielo (isole Baleari per la precisione), fra usignoli sull’albero accanto e crateri solari lontanissimi. Il pezzo proviene dalla colonna sonora del film More.

Maurizio – Cinque Minuti E Poi…

Per il momento ancora pochissime scie bianche solcano l’azzurro dei nostri cieli. Ma anche i voli aerei ritorneranno e con loro gli addii aeroportuali struggenti, come quello di Maurizio (futuro Krisma) alla sua amata. Nel video che potete vedere qui sotto tutto il pathos si estingue all’apparire di Lino Banfi. Forse era meglio scegliere il più possente strazio aeroportuale di Jacques Brel in Orly…

 

America – Horse With No Name

Come detto, il mito americano ha il movimento come componente essenziale ed esistenziale. La più famosa canzone degli America propone un viaggio nel deserto in sella a un cavallo senza nome: una metafora della ricerca di se stessi con il mare come compimento del percorso.

Steve Goodman/Arlo Guthrie – City Of New Orleans

Le canzoni sui treni necessiterebbero di un monumentale capitolo a parte. Tantissime ne ha cantate, ad esempio, Johnny Cash. D’altronde il treno è stato il primo vero mezzo di trasporto collettivo, veicolo per un’emozione condivisa da molti. City Of New Orleans venne scritta da Steve Goodman e resa famoso da Arlo Guthrie. È un’ode al treno che in 18 ore collega Chicago con New Orleans, ma anche una metafora su luci e ombre del mito americano. Quel treno esiste ancora: ha resistito alla perdita d’interesse verso il trasporto ferroviario degli anni ’70-’80 e sta resistendo anche alla crisi di passeggeri causata dalla pandemia. Long may you run!

Giovanna Marini – I treni per Reggio Calabria

Rispetto a quelli d’America, i treni cantati italiani  sovente attingono a un’epica di natura socio-politica. Lo dimostrano sia la Locomotiva gucciniana sia questa storia di un viaggio dal nord al sud del paese (22 ottobre 1972) in risposta ai cosiddetti “moti di Reggio Calabria” orchestrati dall’estrema destra.

Village People/ Pet Shop Boys – Go West

Nel  1979 la grande corsa dei pionieri è terminata da decenni e l’agognato west dei Village People è la San Francisco dove i gay possono sentirsi più liberi che altrove. Nel 1992 i Pet Shop Boys ricontestualizzano ulteriormente la canzone, collegandola, con buona dose d’ironia, alla caduta del muro politico fra Europa presunta libera e rantolante blocco comunista.

Scott McKenzie – San Francisco (Be Sure To Wear Flowers In Your Hair)

Ancora l’ovest e ancora San Francisco. L’inno hippie alla città viene scritto da John Phillips dei The Mamas & The Papas e cantato dall’amico Scott McKenzie. Il successo è mostruoso tanto che un esercito di giovani “con un fiore tra i capelli” si muove davvero alla volta di San Fran riempiendola di sbandati. Superfluo ricordare che Phillips è l’autore dell’ancor più nota California Dreamin’.

Donovan – The Fat Angel

L’Angelo Paffuto, la bicicletta d’argento, le Translove Airways che viaggiano sempre in orario trasportando orchidee, l’Aeroplano Jefferson che ci porta (ma guarda un po’) a San Francisco. Era il 1966 e tutto andava bene.

Crosby, Stills & Nash/ Jefferson Airplane – Wooden Ships

Trascorsi appena due anni dall’idillio donovaniano, il sogno diventa incubo. A bordo di navi di legno un gruppo di sopravvissuti all’olocausto nucleare viaggia alla volta di un luogo dove dare vita a una nuova civiltà. La canzone viene scritta nel 1968 da David Crosby, Steve Stills e Paul Kantner ed è condizionata dalle forti tensioni del momento fra Stati Uniti e Unione Sovietica. Diversi tratti del testo hanno una vividezza da film catastrofista: per fortuna alla fine s’accende un barlume di speranza.

Francesco De Gregori – Titanic

Non s’intitolasse Titanic (e non avesse quelle allusioni al ghiaccio…) sarebbe una canzone con un messaggio positivo: sguardi carichi di reciproca attrazione scavalcano le barriere fra prima e terza classe in un viaggio di inizio ‘900 verso l’America. Fermiamoci su questa istantanea felice.

Van Der Graaf Generator – Refugees

Un tipo di viaggio da non dimenticare mai, nelle parole di una canzone (involontariamente profetica?) del 1970: “Siamo profughi, ci allontaniamo dalla vita che abbiamo conosciuto e amato. Niente da poter dire o fare. Ora siamo soli. Siamo profughi, portiamo tutti i nostri averi in borse marroni legate con corde”.

Robert Johnson – Crossroad Blues

L’autostop: un modo di viaggiare in economica libertà – giusto uno zaino e un cartello con la località da raggiungere – che è ormai quasi dimenticato, un po’ a causa dei crescenti rischi, un po’ perché troppo faticoso per una gioventù che è sì social ma da seduta. Qui torniamo indietro di quasi 100 anni per ritrovare  il bluesman Robert Johnson che da qualche parte nel sud degli Stati Uniti aspetta un passaggio a un desolato crocicchio e si deprime cosmicamente.

Claudio Baglioni – Strada facendo

La strada come metafora della vita non è proprio un’idea originalissima, però questo classico baglioniano fa venire voglia di mettersi in movimento, anche solo per solidarizzare con qualcuno. Perfetto dunque per questa nostra storia.

Bruce Springsteen – Lost In The Flood

Il musicista on the road per eccellenza è ovviamente Bruce Springsteeen che ha cantato la strada in molti modi diversi, dall’epopea mortifera di Nebraska a quella vitalista di Born To Run. Dal catalogo di automobili del Boss ne scegliamo una di tanto tempo fa, addirittura dal suo primo album: “ Quel puro fratello americano con gli occhi spenti e la faccia vuota/ La domenica corre nel Jersey su una Chevrolet Super Eight/ La guida quasi sdraiato, sulla fiancata la scritta “Bound For Glory/ In brillante vernice bianca, rossa e blu”. Un Woody Guthrie a tutta velocità mentre l’acqua del diluvio sale.

Woody Guthrie – This Land Is Your Land

Ed eccolo qui Woody con la sua canzone più nota: una celebrazioni dei grandi spazi americani da lui percorsi, insieme a tanti hoboes, sui treni merci della Grande Depressione. Prenotazione obbligatoria e distanziamento sociale non pervenuti.

Little Feat – Willin’

Uno dei classici assoluti della musica stradale americana, un inno per tutti i camionisti, soprattutto per quelli un po’ sfigati a cui tocca trasportare anche cose non troppo legali.

Lucio Battisti – Sì, viaggiare

Un piccolo contrattempo meccanico e poi ripartire sempre e comunque senza ricadere in qualche tipo di paura. Inevitabile che sia il pezzo di Mogol-Battisti a concludere questa sequenza di canzoni dedicate al movimento.

Buoni viaggi a tutti!

Qui la prima puntato dell’articolo

 

 

 

 

 

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John Vignola (non è il vero nome) e Antonio Vivaldi (è il vero nome) si frequentano da oltre due decenni, dopo essersi conosciuti a un concerto organizzato dalla rivista Rockerilla, fucina dei loro primi guizzi musico-giornalistici. Entrambi si dedicano tuttora a tale frivola attività, nel frattempo diventata assai démodé. Sono cultori della cialtroneria bene informata che vorrebbero elevare a forma d’arte. Vignola sta con i Beatles, Vivaldi vorrebbe stare con gli Stones, ma preferisce i Kinks.

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