Jeff Buckley - Un ricordo

Jeff Buckley, Milano 16 settembre 1994.

Sono trascorsi 23 anni dal 29 maggio 1997, quando Jeff Buckley venne ghermito dalle acque del Wolf River, un affluente del Mississippi che scorre nei pressi di Memphis. La storia breve, intensa, tragica di Jeff (così come il suo difficile rapporto con la figura del padre Tim) è abbastanza nota a tutti. Quello che proponiamo qui è un ricordo più privato, legato al suo primo concerto nel nostro paese.

Jeff Buckley - Un ricordo

Quell’intervista a Jeff Buckley

Ho in mente quasi tutto di quella giornata milanese, 16 settembre 1994. Ho anche recuperato, in mezzo a tanti altri ritagli, il testo della mia intervista per conto di Rockerilla: n. 170, 10/94 specifica la nota a bordo pagina…

La situazione è davvero improbabile, surreale persino. Un bar dall’aria anonima e dagli arredi vecchi senza essere vintage che ha scelto un modo decisamente estemporaneo per rendersi speciale: mensole, espositori e bancone traboccano di  bandierine e gagliardetti tricolori di Forza Italia, pochi mesi prima stravincente alle elezioni politiche. A Jeff Buckley è stato riservato un tavolo interno accanto alla vetrina. Riservato è un termine forte. A un paio di metri di distanza tre azzimati businessmen dell’Estremo Oriente esaminano una sequenza interminabile di scarpe e, per verificarne la robustezza, le sbattono con gran frastuono sul piano di formica.

Jeff Buckley, “un bravissimo musicista”

Jeff Buckley sembra non far loro caso e parla a voce e occhi bassi, impegnato a cambiare le corde della chitarra elettrica. Di lui si accorgono due ragazzine che passano e ripassano sul marciapiede davanti alla vetrina, attratte dall’allure di questo giovane così bello che ha davanti a sé tre microfoni e tre giornalisti  (per la cronaca Davide Sapienza, Ida Tiberio e  chi scrive questo pezzo). Di sicuro immaginano debba trattarsi di uno importante, magari una rockstar. Si fanno coraggio ed entrano. Davide spiega loro: “Si chiama Jeff Buckley ed è un bravissimo musicista”. Jeff sorride e le saluta.

 

Il quadretto è completato da un tour manager nevrastenico. All’inizio ci comunica con modi bruschi che sono vietate le domande su Tim Buckley (cosa che peraltro già sapevamo); un’ora dopo interrompe sbraitando l’intervista: “Basta, finitela, il vostro tempo è scaduto”. Peccato perché, più che di un’intervista, quella era stata una conversazione a quattro in cui Jeff si era lasciato prendere da una sorta di flusso di coscienza. Ecco alcuni passaggi salienti:

New York e il Sin-è

“A New York sono arrivato nel 1991 e per me ha significato moltissimo. […] Lì ci sono così tante cose da fare e da vedere che si finisce per escludere impietosamente tutto ciò che non interessa. È successo anche a me di essere considerato un incapace e all’epoca era così. […]. Al Sin-è sono stato essenziale e sono stato rococò, sono stato felice e sono stato depresso, ma ho imparato moltissimo”.

La musica e i concerti

“La musica è per me quello che le vene sono per il sangue. […] Ho cominciato a comporre a 13 anni cose in gran parte orribili e da allora sono sempre andato avanti cercando la mia strada in una specie di navigazione in solitario. […] Negli ultimi anni sono migliorato molto soprattutto per quanto riguarda l’espressività vocale. Quando sono arrivato a New York ero nessuno e in un certo senso lo sono ancora.”

I produttori

Le scelte in sala d’incisione [per l’album Grace, nda] sono state quasi tutte mie, compresa la scansione oscurità-luce-oscurità con cui sono stati messi in sequenza i pezzi e Andy Wallace [produttore dell’album, nda…] ha contribuito soprattutto con le sue capacità e conoscenze tecniche. Le idee sono mie, lui le ha guidate nel modo giusto. […] Per il prossimo album non penso di lavorare ancora con Andy, anche perché è molto caro. Mi piacerebbe avere Hal Willner, ma non sarà semplice.

Hallelujah

“Hallelujah […] l’ho imparata a New York da John Cale dopo un anno che lavoravo al Sin-è in un giornata particolarissima e terribile, una giornata in cui mi sono trovato a piangere come un bambino e quella canzone esprimeva proprio quello che sentivo. Un titolo come Hallelujah fa pensare alla chiesa, alla moralità e invece c’è dentro un’umanità profonda, c’è l’idea di fare l’amore, perdere l’amore, venire crocifissi. Leonard ha scritto dieci strofe per quella canzone e non so perché non le abbia cantate tutte, io ho scelto quelle che sentivo più mie.”

Il valore della musica dal vivo

“L’essere aperto alle influenze esterne mi fa sentire meglio e ora che sono lontano da casa mi sento ricettivo anche nel suonare. È un tipo di consapevolezza che va al di là della musica, che ti entra dentro sino a quella parte dell’anima dove il quotidiano lascia il posto al sogno e dove ci sono mille strani oggetti. […] In genere vediamo un quadro quando è finito, difficilmente possiamo seguire il pittore mentre dipinge. In un concerto invece la musica viene ogni volta ricreata e chi l’ascolta diventa parte dell’evento.”

Dopo l’intervista il concerto

Poche ore dopo  l’intervista Jeff suona in un locale stipato all’inverosimile (ricordo l’attore Silvio Orlando in piedi, appoggiato a una colonna). Il primo ep, Live at Sin-è, non ha avuto grande circolazione e Grace è stato pubblicato da pochissimo. Il concerto è bello e ricco di pathos, anche se Hallelujah – ne sono quasi sicuro – non viene suonata. Il pubblico è composto soprattutto da fan di Tim Buckley, curiosi di vedere all’opera il figlio di un genio misconosciuto che loro portano ancora nel cuore. Quella sera scoprono che Jeff ha sì qualcosa del padre, specie nell’uso caleidoscopico della voce, ma in realtà dispone di un talento assolutamente specifico. E infatti gli innamorati – e le innamorate – di Jeff e soltanto di Jeff non tarderanno ad arrivare (più avanti ancora arriverà anche un poco piacevole sfruttamento discografico su cui ora non è necessario soffermarsi).

A fine concerto ritorniamo verso la Stazione Centrale sotto un furibondo diluvio. Non possiamo immaginare che nemmeno tre anni dopo l’acqua sarebbe stata tragicamente decisiva per Jeff.

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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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