Jane Birkin

A tre mesi dalla scomparsa di Jane Birkin, un ricordo e un omaggio.

A chi le domandava in quale anno fosse nata, Jane Birkin rispondeva il 1947, migliore del 1946, per via del vino. A chi le chiedeva se preferisse fare l’attrice o la madre, rispondeva che era una privilegiata, non avendo dovuto scegliere. A chi la blandiva per la bellezza dei suoi occhi di cerbiatto, Jane Birkin ricordava le spine dolorose di una adolescenza androgina, sgraziata, ma in fin dei conti felice, fra le braccia di una famiglia scombinata ed allegra, ricamata di indimenticate vacanze all’Isola di Wight. Proprio lei, la “ragazza dal cesto di vimini” che aveva fatto innamorare la Francia, il volto-occhi-azzurri di tante istantanee e tanti filmati mid-sixties, icona prima della swinging London e poi di una terra d’adozione che si scopriva disinibita e amante della provocazione.

Seconda figlia dell’eccentrico David (comandante della Royal Navy) e dell’attrice e cantante Judy Campbell, modella dalla bellezza asimmetrica e annichilente, Jane fu prima di tutto e per un bel po’ “la ragazza bionda” di Blow Up di Michelangelo Antonioni. Le scene in topless che punteggiano la pellicola possono ambire oggi, al più, alla sala cinematografica di un convento, ma in quel 1966 l’impatto libertario del film fu potente. Si squarcia così il velo del silenzio ed inizia una lunga cavalcata nella musica e nel costume del Novecento.

L’incontro con Serge Gainsbourg

Gli anni Sessanta corrono veloci e presto si fanno cenere. Nel 1968, sul set del film Slogan, diretto da Pierre Grimblat, Jane conosce Serge Gainsbourg, intento ad asciugare le lacrime versate per la rottura con Brigitte Bardot. Inizia così, fra antipatia reciproca e passione debordante, un lungo sodalizio sentimentale e professionale, nel quale Jane B., diversamente da B.B., non fu mai la bella statuina dell’ispirazione altrui (e sia pure d’un genio vero). Al contrario, Gainsbourg non sarebbe, non avrebbe potuto essere quel che divenne, senza venire contaminato ed invaso dalle cellule dell’anima e del cervello di Jane Birkin, che si impastano, influenzano, deformano e restituiscono al mondo una creatività che Jane orientò, determinò e accolse nel grembo caldo e leggero di una voce lieve, distillato senza pari di falsa innocenza, ironia, sensualità, vitalità e misurata capacità di sorridere ad ogni sorpresa della vita. Jane Birkin umanizzò ed ammorbidì gli impulsi profondi ed aguzzi di una genialità storta e dissipata. Così facendo rese Gainsbourg immortale. E lei con lui.

Alla fine del 1969 esce Jane Birkin – Serge Gainsbourg, primo album della coppia. Ma tutto è già cambiato per Jane.  Il disco, il cui impatto sulla musica popolare non solo francese dovrebbe essere parecchio rivalutato, ripropone in larga misura alcune grandi canzoni di Gainsbourg (da L’anamour a Les Soucettes passando per Sous le soleil exactement) ma soprattutto è anticipato dal singolo Je t’aime… moi non plus, inciso in verità per la prima volta nel 1967. È il frutto, quel singolo, di una notte brava di Gainsbourg con Brigitte Bardot. Bloccato da Gunther Sachs, all’epoca marito assai facoltoso della stella, fresco di abbandono Gainsbourg lo incide a spregio con il suo nuovo amore.

Jane Birkin Serge

L’immagine di Jane Birkin subisce, da questo esatto momento in poi, una rasoiata ontologica da far tremare i polsi del conterraneo, per quanto meno famoso, Guglielmo di Occam. Nell’immaginario collettivo Jane cessa di essere una donna, un’attrice, una cantante, una modella, la ragazza dal cesto di vimini, per lasciare posto, prima di tutto e davvero per sempre, ad una completa identificazione con il gemito musicale e musicato più famoso del globo. La inciderà poi nel 1986, Brigitte, con Serge Gainsbourg, quella canzone figlia di una notte alcolica di sesso e risate, e la raccoglierà più tardi nel suo unico disco di un qualche valore e di una qualche ambizione autoriale, Bubble Gum (1994). Ma non ne sarà scalfita di un grammo l’immortalità  a mezzo di coito canoro di Jane, che nel 1976 aveva fatto scopa recitando, quasi sempre nuda, nell’omonimo, modesto film, diretta dal marito. (Va pur detto che la sua fetta di paradiso musicale Brigitte se l’era guadagnata già, quando nel 1968 aveva inciso, sempre con Gainsbourg, una delle canzoni semplicemente più belle di sempre, Bonny and Clyde, riproposta come B- side nel 1986).

La censura e la fama

Per restare in casa nostra, il 15 agosto 1969 la canzone, ritenuta oscena, viene esclusa dal programma radiofonico Hit Parade. Il 22 agosto su “L’Osservatore Romano” esce il testo tradotto, a difesa della censura RAI. Sei giorni dopo, su ordine della Procura della Repubblica di Milano, il disco è sottoposto a sequestro. Conseguenze: la fama planetaria per Jane e Serge e più di cinque milioni di copie vendute. Avrà buon gioco Jane Birkin a definire il Vaticano il miglior ufficio stampa che mai avrebbero potuto ingaggiare.

C’è molto di più nell’album, ovviamente. C’è Jane Birkin, soprattutto, per la prima volta, con i suoi mille volti e umori. C’è la Jane esilarante in Orang-outan, l’ironica e ammiccante in 69 année érotique, la malinconica ed assorta nella storia di sé in Jane B., la scatenata a ritmo di charleston in 18-39 e l’estatica ed ingenua in Le canari est sur le balcon. Disco sghembo, irriverente, fuori da ogni canone, il suo desiderio di libertà e liberazione lo rende ancor’oggi irresistibile. Due anni dopo sarà la volta di Histoire de Melody Nelson, disco memorabile e film improbabile e scombriccato. Neanche a dirlo, Jane è Melody; l’album, è forse il più perfetto capolavoro di Gainsbourg e la sua più riuscita incursione rock.

Gli anni Settanta sono un vortice, volano: la bohème artistica ed intellettuale in rue de Verneuil, al n. 5, dove oggi ha sede la Maison Gainsbourg, finalmente riaperta e visitabile; dischi a pioggia, e parti da attrice, in Francia e fuori. Gli anni Sessanta, sono ormai soltanto una figurina un po’ ridicola da prendere in giro: “ex fan degli anni Sessanta, bambolina / Quanto bene hai ballato il rock’n’roll / ex fan degli anni Sessanta, dove sono i tuoi ruggenti anni folli? / Cos’è successo a tutti i tuoi idoli?” canta Jane nel 1978, su parole e musica di Serge Gainsbourg (Ex Fan Des Sixties).

Attraverso i decenni, forever young: Jane Birkin

Gli anni Ottanta, da cui Serge uscirà quasi cadavere, la trovano artisticamente solida e ben piantata. Il matrimonio con Gainsbourg, travolto dagli eccessi di lui, naufraga nel 1980, ma la loro collaborazione regala almeno un paio di acuti. Baby Alone in Babylone (1983) e Lost Song (1987), alberi a cui sono appesi frutti di rassegnata disillusione non di rado bellissimi (per tutti, Norma Jane Beker nel primo e Lost Song  nel secondo).

Ma risalgono allo splendido biennio creativo 2006/7 i suoi due ultimi colpi d’ala. Un album di cover, Fictions, il primo, in cui brillano non soltanto la chitarra di Johnny Marr, ma almeno due riletture assai notevoli, Alice di Tom Waits  e Harvest Moon di Neil Young, cantate con convinzione, misura e senso del limite e coronate da un contorno di ottime ed educate consorelle. È però soprattutto Enfants d’Hiver (2007) che ci porta dritto al cuore dell’ultima stagione creativa di Jane B., che per la prima volta si misura con la scrittura dei testi dell’interno album. Fotogrammi d’infanzia, foto di famiglia tirate fuori dai cassetti che galleggiano fragranti nella memoria, mentre la vita, attorno ai sessant’anni, punta la prora verso un orizzonte che ancora non vuole chiamare tramonto ma che, prima o poi, verrà. Un saluto ad un mondo lontano e perduto di affetti amati, alla sua terra, al suo incanto d’infanzia. Musicalmente sostenuto da ottimi autori e musicisti della scena francese, Enfants d’Hiver è tutto questo ed altro ancora. Ed è un disco intenso, elegante, in cui Serge non c’è, ma c’è semplicemente Jane.

Jane Birkin Fictions

Sono sempre stata una grande ottimista – scriveva Jane B. annullando le date della sua ultima tournée – e mi rendo conto che mi serve ancora un po’ di tempo per essere di nuovo capace di stare in scena e con voi”. Chiedeva giusto quel “tempo che tempo non sia” del suo bel duetto con Paolo Conte di un po’ d’anni prima,  Chiamami adesso.

Quel tempo al quale alla fine ha dovuto rinunciare quando, all’età di 76 anni, il 16 luglio 2023, se la sono ripresa gli dei. Si sarà presentata sorridente, elegante, e crediamo, con il braccio infilato in un cesto di vimini, piuttosto che in quella famosa borsa che da quasi quarant’anni porta il suo nome.

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Ha iniziato ad ascoltare musica nel 1984. Clash, Sex Pistols, Who e Bowie fin da subito i grandi amori. Primo concerto visto: Eric Clapton, 5 novembre 1985, ed a seguire migliaia di ascolti: punk, post punk, glam, country rock, i pertugi più oscuri della psichedelia, i freddi meandri del krautrock e del gotico, la suggestione continua dell’american music. Spiccata e coltivata la propensione per l’estremo e finanche per l’informe, selettive e meditate le concessioni al progressive. L’altra metà del cuore è per i manoscritti, la musica antica e l’opera lirica. Tutt’altro che un critico musicale, arriva alla scrittura rock dalla saggistica filologica. Traduce Rimbaud.

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