Dopo Tutto Il Resto È Noia, ancora un Miracolo italiano da Franco Califano, sempre con dedica ad Alberto, portiere d’un albergo romano, che lo amò in vita, lo pianse in morte e ancora lo canta
I formidabili anni 70 di Franco Califano.
Franco Califano non mette la parola fine su di un anno memorabile, perché dalla stessa vena di Tutto Il Resto È Noia, sempre in quel magico 1977, sgorgherà anche il non meno bello Tac.! Addirittura ancora più perfetto e quasi il completamento del precedente, che ha da offrire, oltre a un indimenticabile apologo sulla solitudine (Io Nun Piango) un altro grande monologo, Piercarlino (sulla mania dei cani di razza). Che, con Corrado, diventerà una gag, autocensurata e spassosa, in una memorabile puntata di Domenica In. Sempre più forte il senso di vuoto e di incenerimento della forza vitale, sempre più frequenti le pause depressive, in grandi canzoni come Ma Che Ci Ho e Capodanno e soprattutto Il Campione che si alternano alla parodia (Balla Ba, che ironizza la moda della disco a ritmo di dance) e ad un altro grande monologo, Cesira, sulla rovinosa ossessione per la chirurgia estetica. Tac! e La Pelle completano splendidamente il catalogo, all’insegna della smania, dell’instabilità e della caducità dell’eros e dell’amore, destinati a vivere di sole pause e di stenti.
Di non troppo inferiori gli altri due dischi Ti Perdo… (1979) e Tuo Califano… (1980) che hanno ben pochi momenti di stanchezza e molte canzoni indimenticabili. Nel primo album, almeno la struggente eponima, delicata variazione sull’abbandono, e altri due grandi pezzi, La Seconda (sul tema della ripetuta sessuale) e il suo monologo più grande, la brechtiana Avventura Con ‘N Travestito, inno all’ambiguità e autoironica demistificazione della mitologia del playboy di borgata, dall’incedere affabulatorio e teatrale. Ma anche Che Faccio, depresso apologo sulla stanchezza della solitudine, Amante Del Pensiero Tuo e Alla Faccia Del Tuo Uomo, sospesi a mezz’aria fra rimpianto e cinismo. In Nun Me Portà a Casa domina, con un filo eccessivo di patetismo, il tema della schiavitù all’alcol, che in Mentre Fuori Piove, nel disco successivo, sarà esorcizzato in un delizioso divertissement con tromba.
Poi cambia il vento
In Tuo Califano… il nostro, lanciato a velocità folle verso il precipizio, conferma lo stato di forma eccellente. Chi Sono Io e ancor più la splendida e impietosa Un Uomo Da Buttare Via, amare introspezioni su una vita e un’identità che sfuggono di mano (“io vivo dove la realtà è pazzia”), sono le vette di un lavoro di ottimo livello e di curata fattura, mentre ancora una volta la vena patetica della monologante La Porta Aperta non riesce a nobilitare come vorrebbe il senso di sconfitta e abbandono che la pervade.
Con la scomparsa di Turatello ed il mutare dei gusti del pubblico è l’intero mondo di Califano ad entrare in crisi. Il successo della canzone che fa da traino al disco aiuta a dissimulare, ma è proprio con La Mia Libertà (1981) che inizia a farsi sentire la stanchezza. Non molto si ricorda, oltre a La Mia Libertà e Boh, sconsolato riflettere all’incertezza d’amore. In Buio E Luna Piena (1982) e Io Per Amarti… (1983) tutto sembra messo insieme di fretta, e restano forse, niente affatto indimenticabili, giusto le canzoni omonime e nulla più.
Il 1983 ha in serbo per Califano, appena sei anni dopo gli scudi di Tutto Il Resto È Noia, il sapore acre della polvere e del fango. L’era di Turatello ormai alle spalle, senza più amici o padrini, Califano viene travolto dalla valanga di veleno scatenata dalla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, che non risparmia il mondo dello spettacolo, sconvolto da una violenta campagna delatoria e falsaria. Accusato dagli stessi ‘pentiti’ che azzanneranno Enzo Tortora, Califano uscirà assolto “perché il fatto non sussiste” dalle accuse di spaccio di cocaina (motivate in sede processuale in modo surreale e fantasioso), ma ne sarà minato nell’immagine e umanamente distrutto. Gianni Melluso, detto Gianni il Bello, grande accusatore di Califano con Pasquale d’Amico, in una intervista a “L’Espresso” del 2010 dirà: “Devo chiedergli perdono, perché oltre a essere innocente, è stato al mio fianco in serate indimenticabili alle quali partecipava il boss Francis Turatello. Califano è padrino di battesimo di suo figlio. Consumava cocaina, amava fare la bella vita e si circondava di donne, ma non è mai stato uno spacciatore: soltanto un grande artista che la camorra mi aveva chiesto di screditare”.
Tra gli anni 80 e i 90, con difficoltà
Il danno, come sempre accade, è fatto, e nulla sarà più come prima. Califano resiste, ma il colpo è violento e l’uomo è fragile. Continua a scrivere e Impronte Digitali (1983), con la canzone omonima che ripercorre la vicenda con un ‘di più’ cronachistico un po’ stonato, è anonimo e fuori fuoco, sbiadito o troppo abbagliato dalla vicenda giudiziaria. Andrà sempre peggio e da Re Mida, cantautore e cantante acclamato, discografico non fino ma di successo, Califano si trasforma nel suo contrario, un Re Merda accusato di sporcare tutto quello che tocca. Se di …Ma Cambierà (1984) nulla si ricorda, del successivo, ancor più brutto e bolso Il Bello Della Vita si salva dai disastrosi arrangiamenti almeno Il Professore, posseduta da un vibrante senso di sconfitta e inutilità. Nulla si sottrae al contrario al disastro di Io (1988), ma il nostro calca il palco a San Remo ed inizia una timida e ancora non percettibile ripresa creativa. Coppia Dove Vai (1989), assai modesto, tanto erano brutti i due dischi precedenti, pare almeno accettabile, e il desolato spleen da playboy perdente di Il Cuore Al Chiodo si fa apprezzare.
Ma c’è spazio per alcune belle canzoni
Nel 1990, la zampata. Con Califano, lavoro ben prodotto e che lascia alle spalle le sonorità di plastica e i virtuosismi sprecati delle prove precedenti, il nostro riesce a mettere in fila, oltre a La Nevicata Del ’56, bellissima madeleine di gioventù avvolta in un’aura di memoria dolorosa, qualche altra canzone ascoltabile, come Il Lupo Bianco, apologo sulla violenza dell’uomo sulla natura, e Via Sistina, in cui l’immersione nel cuore caldo della Roma di sempre porta bene a Califano.
Cadute sonore, ancora, lo attendono. In Ma Io Vivo del 1994 riafferma la propria rabbiosa voglia di esistere, ma si ascoltano alcune delle più brutte canzoni mai scritte e non soltanto da lui (Vino Bianco Vino Nero è addirittura spaventosa). Miglior sorte tocca, con sussulto improvviso e inatteso, a Giovani Uomini, dell’anno successivo, di cui, fra tentativi e inciampi, Guerra del Golfo, riflessioni sui giovani, su dio e sulla musica, restano almeno due belle canzoni, Aspettando l’Amore e soprattutto L’Amore Muore, nelle quali non solo vibra come di consueto il cuore di Califano nell’attesa ansiosa, nello svanire e nel farsi polvere del sentimento, ma brilla un’ispirazione viva, affaticata ma non doma, che anticipa modi e forme dei suoi anni ultimi.
Miracoli italiani 8 / Franco Califano – Non Escludo il Ritorno
Ma c’è il tempo ancora per una meravigliosa, inaspettata resurrezione, che ha i colori crepuscolari e a tratti magnifici di una fenice che si ostina ad alzarsi in volo. Nel 2005, nelle mani accorte e rispettose di Federico Zampaglione e Luigi Pulcinelli dei Tiromancino, che producono il disco e dirigono il cantante, esce Non Escludo Il Ritorno. Bellissimi e curati arrangiamenti di pezzi più o meno antichi, reinterpretati con una voce sfatta, di naso, intensa come mai prima, come di un Aznavour che si aggira solitario in un mondo di rovine e di memoria; quel che più colpisce però sono i nuovi pezzi, gemme vere e proprie. Che C’è? autunnale variazione sulla fine dell’amore che si fa metafora dell’incenerirsi della vita, ma soprattutto le splendide L’amore È Fragile e Sigarette Spente, fini, disillusi ricami sulla consunzione e su un prossimo nulla, in cui vita e amore, ormai fatti di passato e di niente, hanno la secchezza di tratto e la fermezza di mano che talora arridono alle stagioni ultime della vita.
Fiore Di Campo Di Primavera, divertissement delizioso in forma di charleston premuto sull’acceleratore, tutto ritmi puntati, allegrie e malinconiche malizie da gita scolastica, che pare rubato a Paolo Conte. Ci sono poi la scolpita autobiografia in versi di Un Tempo Piccolo, scritta con e per i Tiromancino e la meravigliosa epopea di rinascita dell’amore e della vitalità di Non Escludo Il Ritorno, ancora con Zampaglione, in cui passato e presente si epifanizzano a vicenda. Ma è Pierpaolo la rivelazione vera di questo lavoro, omaggio commosso a Pier Paolo Pasolini, cantore dell’umile Italia, da sempre vicino al cuore del nostro. Nei trent’anni della scomparsa del più grande intellettuale europeo del Dopoguerra non si sono sentite parole più toccanti ed evocative, di quel cuore che non si spezza sotto nessun parafango, e di un tempo e un luogo in cui siano “felici anche gli infelici, che nessuno sa”. Tornano le grandi canzoni di sempre, alleggerite nelle strumentazioni e ricantate da Califano con voce distrutta e come mai vibrante.
Franco Califano dopo Non Escludo il Ritorno
Certo, non tutto è perfetto, e in alcuni momenti di stanca il Califano degli anni Duemila fa il verso al se stesso di un tempo, sceneggiando un eros che nei casi peggiori assume tinte senili da andropausa, come in Disperati Pensieri di Un Impotente, o da bar, come nel monologo Er Cerchio ‘N Testa. C’è il maldestro tentativo di poesia in musica per due voci di L’Impossibile Fino alla Fine e qualche posa un po’ goffa da maestro di vita, come in Il Guanto, ma le perle lucenti che si staccano da questa collana sono di più e valgono infinitamente di più di quelle nere. Luminosissima, fra tutte, la sua lettura di Ne me Quitte Pas di Jaques Brel, arrangiata sotto forma di tango per chitarra e bandoneon dal solidale Zampaglione e affidata ad una voce disfatta e catacombale. Ci sono poi, come dicevamo, le canzoni di sempre, asciugate e forti, presentate in una rilettura complessiva che ne aumenta la potenza e l’impatto, pur non mancando di evidenziarne la finezza compositiva, esaltata da arrangiamenti e da una veste formale finalmente all’altezza.
Gli ultimi anni
La storia più recente ci parla dell’impellenza economica, di alcune giullarate alla corte della politica, di una creatività che non riesce più ad organizzarsi compiutamente, di qualche miseria, e del suo farsi un po’ ruffiano e un po’ venduto. Ma continua a scrivere, a cantare e come può ad esibirsi. Uomo di cadute e sorprese, anche dopo la morte non cessa di stupire, con i raggi lunghi di una stagione creativa che sembra non tramontare mai. Nel 2015 è la volta del dolente e cullante inedito Le Mie Donne, omaggio estremo, agro e dolce, all’eterno femminino, al miracolo dell’amore che ogni volta si reincarna fino a far posto alla morte, ma l’ultima sorprendente meraviglia sarà Io So Amare Così, lasciata in eredità alla molto amata Patty Pravo, che la incide con intensità quasi intollerabile nel tutt’altro che disprezzabile Red (2019).
Prosciugate e senza sbavature, le grandi ossessioni di Califano si concentrano in poco più di tre minuti: l’amore e l’impossibilità di amare, la dispersione della vita, la solitudine come libertà, condanna e destino, che l’insufficienza dell’eros non basta mai a colmare. Infine, scolpito, quel verso, “La noia è libertà”, in cui le due grandi parole magiche di una vita, superata ogni opposizione, si fanno specchio l’una dell’altra.
Ognuno ricordi Califano come può, dicevamo. Un portiere d’albergo romano, che ne aveva fatto personale talismano, lo ricordava, commosso, nell’estremo saluto, reso sotto una pioggia scrosciante. Riprova, se mai ce ne fosse bisogno, che quando si è trovata la chiave per aprire il cuore degli uomini si dura oltre la morte e nulla è davvero vano.