Tacabanda - Intervista Tomtomrock

Il ritorno dei Tacabanda, dopo 15 anni di silenzio, raccontato da Roberto Gandolfo.

Tacabanda - Intervista Tomtomrock

Un bel ricordo degli anni ’90 italiani si chiama Tacabanda. La formazione veneziana nasce nel 1993 su impulso di Roberto Gandolfo e Pietro/Totò De Conciliis e si posiziona in quell’ambito fra etno-rock e combat-folk (quanta nostalgia queste sigle…) che all’epoca poteva contare su nomi ricchi di idee e vitalità quali Mau Mau, Modena City Ramblers e, fuori dall’Italia, Les Negresses Vertes e Mano Negra.
Tra il 1995 e il 2000 escono tre album di studio- Marameo, El Suk e Razza Bastarda – nei quali il gruppo racconta la sua idea di Venezia come crocevia di suoni , storie, culture. La prima vita dei Tacabanda si chiude nel  2003 con la pubblicazione di La Grande Onda Live. Cosa succede dopo ce lo racconta Roberto Gandolfo.

Ci sono gruppi la cui carriera dura decenni, magari con momenti ‘carsici’. I Tacabanda invece hanno scelto a un certo punto di ibernarsi. Al risveglio come si sono sentiti? E cosa hanno visto intorno a loro?

Sì, abbiamo avuto una pausa di 15 anni, quindi molto lunga e, per quanto mi riguarda,  anche dolorosa. E’ stato il 2003 a segnare la fine di un percorso decennale molto vivace. Una fine dovuta ad attese troppo importanti, alla stanchezza e forse anche a un po’ di masochismo. Ripartire era chiudere una ferita. Però poteva essere una cosa un po’ stupida, così per un po’ di tempo ho detto no. Poi, un giorno, Pierluigi Volpini, il trombettista, è riuscito a convincermi. All’inizio abbiamo provato risuonando qualche nostro classico. Abbiamo capito che qualcosa da dire l’avevamo e dall’autunno 2017 ci siamo a poco a poco rimessi in gioco.

Ho ripreso in mano il libro degli appunti e, dopo 15 anni, ho scritto il primo pezzo nuovo, L’urlo. Nessuno voleva rifare i vecchi Tacabanda; c’è una stagione per ogni cosa. L’Urlo è una canzone scritta da osservatore sui rapporti interpersonali nel mondo di oggi. L’idea è di raccontare il nostro momento, della mia generazione ma non solo. Il concetto-base è che non si è sempre saggi a dispetto dell’età.

 

Un altro vostro pezzo  nuovo  è Ariva i barbari, scritta tanti anni fa da Alberto D’Amico. Oggi i barbari si chiamano Airbnb e navi da crociera?

Un giorno Totò mi racconta che aveva fatto un sogno: i Tacabanda rifacevano Ariva i barbari di Alberto D’Amico. Pochi giorni prima la maestra della figlia di Totò aveva usato il pezzo per far conoscere il veneziano ai bambini. A questo punto il problema era riuscire a rintracciare Alberto che ha 76 anni ed è un personaggio incredibile. Ha fatto parte del Nuovo Canzoniere Italiano negli anni ’60 e poi ha fondato il Nuovo Canzoniere Veneto insieme a Gualtiero Bertelli. Trovarlo non è stato facile perché da parecchio tempo vive a Cuba. La cosa buffa è che quando ci siamo visti a Venezia mi ha dato appuntamento a 100 metri dalla casa dei miei genitori. Mi è sembrato un segno.

Ariva i Barbari è stata pensata come work in progress. Le prime due strofe sono prese dalla canzone originale, poi c’è una parte ‘contemporanea’ scritta da me. Io canto le strofe di Alberto e lui canta le mie. L’altra novità è che l’originale era in minore e in stile cantautoriale, noi  l’abbiamo messa in maggiore con un arrangiamento di Totò. Adesso l’idea sarebbe di fare un tour insieme, se Alberto ci dice sì, ovviamente.

Quanto alla tua domanda, i barbari siamo tutti noi. La Disneyland che è oggi Venezia è anche colpa nostra. I 2500 bar, le navi, gli eventi mediatici… Poi però manca qualcosa di davvero locale, di davvero veneziano. Ti faccio un esempio. Prima che il Coronavirus spazzasse via ogni cosa, non erano previsti spazi alternativi, tipo il vecchio Carnevalaltro, rispetto a quelli ufficiali e poco locali. Giusto un chiosco che proponeva musica reggae e, fino al martedì grasso, ha funzionato come punto di aggregazione non ufficiale.

 

Cosa resta della Venezia di una volta?

I bacari [le tipiche osterie popolari veneziane, nda] del video di Ariva i barbari esistono ancora. I gestori non si lamentano se gli arrivano i turisti che vogliono mangiare polenta e pesce, ma cercano di fare aggregazione per gli studenti e per i veneziani rimasti. Nei quartieri popolari tipo Giudecca, Cannaregio, Santa Marta si fanno ancora sagre. A San Giacomo dell’Orio abbiamo suonato davanti a famiglie e studenti. Ci si diverte e i giovani (soprattutto gli studenti non veneziani) sono curiosi della Venezia che non c’è più. Le feste ufficiali, tipo quelle con Elettra Lamborghini e gli Editors, sono cose lontane dalla gente.

Fisarmonica e rock d’autore a Venezia. Venezia dà una specificità alla vostra musica?

Noi non cerchiamo l’amarcord, però rifugiarsi nella nostalgia è un rischio che si corre, specie se si canta in veneziano. I Pitura Freska hanno sdoganato il dialetto in maniera goliardica, ma la cosa non ha avuto seguito e forse non ha nemmeno aiutato. La nostra dichiarazione d’intenti è appunto “Rock d’autore a Venezia”.

Di sicuro ci piacerebbe esprimere in musica alcune specificità veneziane non troppo ovvie. Ad esempio il fatto che i veneziani capiscono se piove guardando dalla finestra i cerchi sull’acqua della laguna. Oppure la loro puntualità non proprio cronometrica dovuta alla necessità di spostarsi a piedi. Adesso per  molti di loro Venezia è la terraferma dove puoi girare in macchina ma fai la coda.

Come è cambiata la musica intorno a voi in questi 15 anni?

Questi 15 anni sono stati per me una chiusura nei confronti della musica. Non ho più comprato dischi. Adesso ascolto casualmente,  però sono stimolato da quello che fanno i musicisti più giovani. Ad esempio, Salmo non mi dispiace. Magari non capisco tutti i temi ma le loro canzoni sono comunque linfa vitale. E il blues è sempre con me visto che era la musica che suonavo agli inizi con gli Sleeping Fashion.

 

Farete un nuovo disco? Ammesso che nel 2020 la cosa abbia un senso…

Oggi si fa un disco per poi venderlo ai concerti e forse non ha molto senso. La nostra idea è un po’ diversa. Abbiamo cominciato a pubblicare a pubblicare a cadenza abbastanza regolare brani accompagnati da videoclip. Per ora siamo arrivati a tre e vogliamo andare avanti ancora per qualche tempo. Poi ci sono altre cose. Un personaggio importante come Steve Giant (il “reggae ambassador italiano”) ci sta aiutando e ha chiesto a Lele Gaudi di farci un remix. Insomma, ci siamo rimessi in cammino.

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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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