Joy Division: storia orale e autobiografia.
Scrivere un libro sui Joy Division dopo i tantissimi già pubblicati era impresa non da poco. Per portarla a termine ci volevano una firma autorevole e un’idea forte. La firma autorevole è quella di Jon Savage, già autore di un testo fondamentale come England’s Dreaming: Sex Pistols and Punk Rock (in Italia tradotto semplicemente con Punk! – Arcana, 1994). Ma splendido è anche 1966 The Year The Music Exploded, il 1966 raccontato mese dopo mese attraverso una specifica canzone.
L’idea forte di Jon Savage
Quanto all’idea forte, possiamo dire che Savage si cimenta con la polifonia.E questo è anche un lodevole esercizio di modestia. Un grande nome del giornalismo musicale rinuncia al ruolo di commentatore (anche se alcuni suoi interventi d’epoca ricorrono nel testo) per trasformarsi in compilatore. O, meglio, di direttore di un grande coro di voci (anche se, come noto, la semplice scelta del materiale è comunque un commento indiretto).
Il racconto dell’epopea dei Joy Division
Il titolo originale è This Searing Light, the Sun and Everything Else: Joy Division – The Oral History. Una storia orale in forma di interviste condotte durante la realizzazione del documentario Joy Division, materiale d’archivio e recensioni in presa diretta di dischi e concerti. L’edizione italiana pubblicata da Rizzoli/ Lizard sceglie invece di chiamarsi Joy Division – Autobiografia di una band. Anche questa è un’idea plausibile, visto che la parte del leone negli interventi la fanno i componenti in vita del gruppo e altre figure decisive. Parliamo ovviamente del grafico Peter Saville e dei compianti Tony Wilson, deus-ex-machina della scena musicale mancuniana nei primi anni ’80, e Martin Hannett, l’uomo che creò il suono dei Joy Division.
La figura di Ian Curtis
Invece l’architrave di tutta la vicenda parla pochissimo, anche se tutti parlano di lui. Frase dopo frase, ricordo dopo ricordo, i vari interventi delineano la personalità a dir poco tormentata di Ian Curtis. A volte gentleman a volte indemoniato, mai altezzoso con i compagni ma desideroso di diventare una star alla Jim Morrison. Un uomo sempre molto carismatico ma anche sempre più confuso, sempre più diviso fra due donne (anche loro fra le testimoni) e sempre più malato di epilessia.
Le ultime pagine del volume sono inevitabilmente dedicate al suicidio di Curtis e risultano di una intensità talora intollerabile, specie riguardo al quesito sull’inevitabilità o meno del gesto. Forse la spiegazione-non spiegazione più lucida è quella di Paul Morley, giornalista e amico della band: “[Ian] doveva uscire dalla sua musica per riprendersi la sua vita, ma la sua vita stava andando in pezzi e lui ha preferito restare nella musica”. In ogni caso a restare indiscutibile l’immortalità delle canzoni dei Joy Division, come sostiene Tony Wilson: “Se non ci fosse stata Transmission, se non ci fosse stata Love Wil Tear Us Apart, se non ci fosse stata Atmosphere, non saremmo qui”.
Joy Division – Autobiografia di una band e il ricordo di quella copertina
Joy Division – Autobiografia di una band è presentato in veste grafica davvero apprezzabile con molto, doveroso nero e grafica che rimanda alla copertina del primo album Unknown Pleasures. Ma lo sapevate che Peter Saville quella copertina – uno dei simboli massimi del dark – se l’era pensata bianca?