Un negozio di dischi, il Record Runners di Genova, accoglie il concerto dei Pinhdar.
Sempre più ardua è ormai l’impresa di assistere nella città di Colombo ad eventi live che smuovano i miei vetusti arti ma l’occasione di assistere al concerto dei Pinhdar valeva le necessarie sedazioni…
Già su queste pagine ebbi modo di parlar ben (anche questo per me sta diventando raro) del duo meneghino composto da Cecilia Miradoli e Max Parenzi in occasione dell’uscita del loro secondo album A Sparkle on the Dark Water licenziato dalla gallese Les Fruits de Mer e, come chi ascolta anziché limitarsi a sentire, si sa che il live test o conferma o delude.
In questo caso specifico si è ben andati oltre la conferma, anzi. Pur nella cornice, unica nel suo genere in questa città, della location Record Runners, un negozio di dischi dove si può mangiare o un locale di ristorazione dove si possono acquistare dischi, a seconda delle attitudini dei frequentatori, avvezza ad altre forme di intrattenimento live , quali a titolo di esempio le serate L.E.D. , pure queste già qui celebrate, il live dei Pinhdar ha ben saputo adattarsi a spazio ed amplificazione grazie anche alla collaborazione di un amico fonico Lorenzo Tagliafico appositamente reclutato per la bisogna e con l’ausilio percussivo del batterista ospite, straight from Bologna, Alessandro Baris.
I Pinhdar presentano A Sparkle On The Dark Water
Il live inizia con una intro programmatica sul pianeta Pinhdar dove sbarcheremo per il resto della serata che prosegue con la riproposizione praticamente di tutto A Sparkle On The Dark Water, con picchi di estatica psichedelia, frutto del lavoro impressionante fatto da Max Tarenzi sui suoni della chitarra e sferzate di nera wave supportate dalla batteria di Baris e dove la voce di Cecilia incanta ed inquieta a seconda del risultato che la sua capacità espressiva vuole ottenere.
La chiusura è affidata a The Hour Of Now, da Parallel, primo album, con la richiesta di Cecilia rivolta al pubblico, di avvicinarsi al palco e lasciarsi fisicamente andare ad un elettromantra che par essere infinito.
Diciamo subito che rispetto alla resa del disco, la perfomance contrappone una capacità del duo di creare atmosfere assai coinvolgenti a completo livello corporale, la voce di Cecilia si infrange nei cuori degli astanti ammantata dalle sonorità ultraterrene evocate dai suoni della chitarra trattata di Max, mentre la batteria acustico/elettronica tribalizza finanche i più languidi bagliori rendendo i brani noti su disco una vera e propria celebrazione double face corpo/spirito.
Le atmosfere dei Pinhdar in concerto
Si diceva della chitarra di Tarenzi, che fisicamente si dimostra di difficilissima collocazione anagrafica con un baldo ciuffo alla Will Sergeant, il quale riesce con assoluta disinvoltura a passare, nell’ambito dello stesso brano da Vini Reilly a David Roback all’Earl Slick del penultimo album di David Bowie, The Next Day, il tutto in circa meno di tre minuti e che, timidamente afferma di esserne stato inconsapevole…e poi la presenza di Cecilia, neo sacerdotessa nerovestita, che spazia vocalmente tra spoken e soffusi/sofferti/seducenti cantati dalle parti di una Nico reincarnata a, e lei ben lo sa, a Beth Gibbons e Elizabeth Fraser, insomma, si muovono i cuori e a tratti si induce su danze, il tutto in perfetta armonia e democratiche condivisioni artistiche.
Non li si definisca Trip Hop, non li si assimili al Goth (il, dai noi, Dark…), Pinhdar è genere a sé stante ed evento che va vissuto anche oltre la domestiche casse acustiche, li si cerchi in giro per la penisola e pure oltre, e se assenti dai propri geografici lidi si faccia in modo di procurar loro spazi dove pascersi della loro arte.